Il Tanko dei venetisti era un’arma da guerra Il pm chiede 5 anni per i tre dell’Alleanza

CASALE DI SCODOSIA. Cinquant’anni di reclusione e quasi 200 mila euro di multa. È la condanna chiesta ieri mattina, in Tribunale a Rovigo, dal pubblico ministero Sabrina Duò per gli indipendentisti veneti che, sei anni fa, diedero vita alla cosiddetta Alleanza e costruirono il Tanko 2.0, fratello minore del “Marcantonio Bragadin” che assaltò nel 1997 piazza San Marco con i Serenissimi. Per la pubblica accusa quel trattore blindato, ma soprattutto il cannoncino che si sarebbe dovuto installare sul mezzo, era da considerare un’arma da guerra.
LE RICHIESTE
I rinviati a giudizio sono 15. Tutti sono accusati, in concorso aggravato, di aver fabbricato e detenuto armi o munizioni da guerra. Il Tanko 2.0, appunto, sequestrato nell’aprile 2014 in un capannone di Casale di Scodosia. Il pm ha richiesto le condanne più pesanti per i tre imputati considerati le “menti” che hanno progetto e costruito il trattore blindato e armato: 5 anni di reclusione e 30 mila euro di multa per Flavio Contin, ex artigiano di 76 anni di Casale di Scodosia, per Luigi Massimo Faccia, 65 anni di Agna, e per Tiziano Lanza, 58 anni di Bovolone (Verona). Una pena minore - 3 anni e 6 mesi di reclusione e 15 mila euro di multa - è stata chiesta per altri dieci imputati, a partire da Severino Contin, fratello gemello di Flavio e residente a Urbana. Stessa pena per Marco Ferro di Arquà Polesine; Luca Vangelista, Antonio e Monica Emanuela Zago, Andrea Quirico Meneghelli, Corrado Turco di Bovolone (Verona); Pierluigi Bocconello di Chivasso (Torino), Michele Cattaneo di Castelli Calepio (Bergamo) e Stefano Ferrari di Sulzano (Bergamo). Chiesta invece l’assoluzione per Sergio Bortotto di Villorba (Treviso) e per il moldavo Alexandru Budu di Cremona.
LA REQUISITORIA
Il dibattimento processuale si è concentrato soprattutto sulla potenzialità offensiva del Tanko 2.0 e sulla “pericolosità” del cannoncino (in realtà quelli sequestrati sono due, uno lungo e uno ridotto) che si sarebbe dovuto installare sul trattore blindato. Il pm ha sottolineato tutti i limiti di questa fase, a partire dal fatto che per l’incidente probatorio non sono state utilizzate le 104 sfere di acciaio che i venetisti volevano usare come proiettili. Proprio l’uso di munizioni “non originali” ha equiparato la potenza dal cannoncino a un’arma da caccia grossa, e non ad un’arma da guerra. La pubblica accusa ha tuttavia ricordato come, in sede di perizia, quel cannoncino fosse riuscito a perforare anche un vetro blindato. Insomma, quello che per le difese era un «tubo innocente da ponteggio» o «che poteva andare bene per soffiare della farina», si è dimostrata un’arma costruita da persone con «competenze notevoli, con capacità costruttive di pregio e con soluzioni ingegnose», come nel caso dell’otturatore del cannoncino più corto. Il Tanko 2.0 poteva far sorridere alla vista ma aveva più di qualche elemento sofisticato: la blindatura, la vernice ignifuga, una benna per rimuovere gli ostacoli. Al suo interno c’era persino una cassetta di sopravvivenza per resistere a un attacco prolungato. I consulenti della pubblica accusa hanno paragonato quel tanko ai migliori bulldozer dell’esercito serbo.
violenza non esclusa
Il pm ha inoltre ricordato come le intercettazioni ambientali abbiano confermato l’idea di poter utilizzare Tanko 2.0 e cannoncino a fini violenti. Nella cerimonia di consegna del mezzo, il 7 ottobre 2012, i membri dell’Alleanza mettono in preventivo l’uso della violenza, senza escludere spargimenti di sangue tra le forze dell’ordine. Insomma, per la pubblica accusa quel trattore blindato va considerato al pari di un’arma da guerra. Per Bortotto (che ha finanziato la costruzione con 3. 500 euro) e Budu (che ha disegnato la canna dell’arma) è stata chiesta l’assoluzione in quanto non è possibile dimostrare che i due fossero effettivamente a conoscenza dell’effettiva realizzazione del cannoncino. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova