Il teatro rende liberi Anche in un carcere

di Vera Mantengoli
Il carcere come privazione della libertà? Non è detto. Per chi fa teatro il carcere può essere addirittura il luogo in assoluto più libero dove la creazione di una trama non dipende dalle esigenze di mercato, ma dalla necessità autentica di raccontare la propria storia. Ieri Riccardo III si è tolto il mantello regale ed è entrato nel carcere femminile dell’Isola della Giudecca, per due ore con un paio di scarpe da ginnastica e un cappellino con visiera. Dietro il muro non tutte sapevano che l’uomo che stava varcando il cancello di controllo era il direttore artistico del Teatro Stabile del Veneto, Alessandro Gassmann, in questi giorni in scena al Teatro Goldoni con la tragedia di Shakespeare. Le donne presenti nella sala polivalente del carcere erano lì prima di tutto per il teatro, poi per conoscere dal vivo un grande attore e, infine, per sentire qualche parola sulla magia che il regista Michalis Traitsis, presidente dell’associazione Balamòs Teatro, è riuscito a portare da qualche anno negli istituti di pena.
Non sono bastate le sedie disposta a cerchio. Le donne arrivavano una dopo l’altra e restavano lì in piedi a guardare, ad ascoltare e anche a ridere divertite come è accaduto quando qualcuna ha chiesto spontaneamente «Ma chi è Alessandro Gassmann?» o quando un’altra ha proposto di ballare una danza tradizionale zingara se mai per caso Gassmann avrà intenzione di girare un film che la preveda.
Cinesi, rumene, africane e italiane. Capelli lisci, raccolti, con cresta colorata. Tuta, gonna, stivali o scarpe da ginnastica. I volti sono curati e traspare dagli occhi di molte la speranza di ricominciare, come ha intonato la musicista nigeriana Rachel in una canzone scritta da lei, “My life” che ha riscosso un grande applauso alle parole «dopo la pioggia tornerà il sole». Un piccolo mondo che riflette quello fuori, ma ampliandone le difficoltà. Non sul palcoscenico però, dove tutti siamo uguali.
«Il teatro unisce ed elimina le differenze» ha detto Gassmann, accompagnato dal suo assistente Massimo Tamalio e dalla coordinatrice del Goldoni Jacqueline Gallo «e in carcere, per paradosso, può esserci più libertà che fuori per raccontaree la propria storia».
Anche la direttrice Gabriella Straffi è d’accordo, ma la realtà è che i soldi mancano e i primi tagli vengono fatti alla cultura. Eppure in questo primo incontro, risultato del protocollo di collaborazione firmato da Balamòs, Teatro Stabile e Istituti di Pena di Venezia, un primo passo è stato fatto: si è respirato il desiderio di rompere le barriere e di realizzare un percorso di crescita attraverso l’arte, e ci si è avvicinati al sogno del regista: trasformare un istituto di pena in un istituto di cultura.
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