Il vocabolario dei trafficanti: l’ hashish é “pane”, la coca “farina”

Trecento utenze telefoniche messe sotto intercettazione, per la cifra spaventosa di 400mila conversazioni ascoltate dagli inquirenti per venire a capo dell’organizzazione criminale. Ma non solo. Per cercare di sfuggire il più possibile al controllo, i trafficanti si erano organizzati e, oltre ad usare ancora le vecchie cabine telefoniche, sfruttavano i nuovi mezzi di comunicazione come skype e indirizzi di posta elettronica.
Un lavoro certosino, quello della squadra mobile di Padova, reso possibile anche grazie agli interpeti. Ovviamente i marocchini tra loro parlavano in arabo, con inflessioni anche gergali che hanno richiesto l’aiuto di esperti che riuscissero, oltre che a tradurre, a decriptare le frasi e il linguaggio in codice utilizzato. Un lavoro che, al termine delle indagini, ha portato gli inquirenti a stilare una sorta di “vocabolario” del traffico di droga. L’ hashish è chiamato in qualsiasi maniera: da “moro” a “quella del paese” passando per “quella nostra”. Un etto di droga è un “sandalo” o un “passaporto”, un chilo invece è “pane” o “pantalone”. I pezzi più grossi, invece, vengono definiti una “mano”, un “pollo”, fino anche a un “borsone”. Questo per quel che riguarda l’hashish. Per la cocaina, invece, c’è meno fantasia: è semplicemente “quella bianca” o la “farina”. Più dosi, invece, sono una “busta”, un “giocatore” o una “camicia”.
Per portare a termine un affare, che poteva essere sia la cessione dello stupefacente che un pagamento, si parlava di incontro per “bere un caffé” o “mangiare” o anche “fare una partita”.
E alla fine, il riferimento divino, scappa sempre: nell’imminenza di realizzare un affare, gli indagati pronunciavano molto spesso il termine “inshallah” vale a dire “A Dio piacendo”.
Il tutto con un enorme e, a detta degli inquirenti, inusuale, livello di cautela, mantenendo sempre grande attenzione a riferimenti di luoghi e incontri con determinate persone.
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