Impiegata infedele dello studio dentistico intasca 63.800 euro

Lo studio dentistico Gò e Barbera la accusa di ammanchi. Ieri penultima udienza del processo, la donna nega tutto

DUE CARRARE. Ai loro occhi era una dipendente modello, pronta a passare da una mansione all’altra senza problemi: dall’attività di segreteria a quella di assistente alla poltrona, senza trascurare le pulizie dello studio. L’idillio è durato tre anni tra lo studio dentistico Gò e Barbera, con sede a Due Carrare in via Mezzavia, e Silvia Meneghello, 35 anni di Padova in via Medici (zona Porta Trento), ora titolare di un bar alla Mandria. La donna è finita sul banco degli imputati, davanti al giudice padovano Stefano Canestrari, con l’accusa di appropriazione indebita: si sarebbe intascata ben 63.814 euro prelevati dalla cassa dello studio nell’arco di un triennio. A difenderla l’avvocato Pietro Masutti. Secondo la pubblica accusa, Silvia Meneghello, senza farsi notare, avrebbe furbescamente infilato in tasca più di qualche banconota dei clienti che pagavano in contanti oppure che consegnavano degli anticipi per interventi. Ieri penultima udienza con l’interrogatorio degli ultimi testimoni.

Lei, Silvia Meneghello, sempre presente in aula, non ha accettato di rispondere alle domande: si tornerà in aula il 15 luglio per la requisitoria del pubblico ministero, le richieste di risarcimento della parte civile (i due odontoiatri, pure presenti all’udienza, sono tutelati dall’avvocato Paolo Vicentini) e l’arringa del difensore. Poi la sentenza. Alla fine del 2011 è la commercialista che si occupa della contabilità dello studio a manifestare qualche sospetto ai titolari, i dottori Massimo Barbera e Nazario Go’. Il motivo? Come spiegare la discrepanza tra le risultanze di cassa, registrate dalle ricevute provvisorie rilasciate ai pazienti quando versano soldi, e gli importi indicati nelle fatture da una parte e, dall’altra, i versamenti effettivi in banca? Come mai questi ultimi risultavano inferiori per circa 63 mila euro nell’arco di tre annualità? Scatta la denuncia e viene avviata l’indagine che “punta” l’indice nei confronti dell’impiegata, pronta a dimettersi volontariamente. Lei, comunque, nega ieri come oggi qualsiasi responsabilità: «Tutte noi colleghe (erano in tre, ndr) potevamo maneggiare il denaro» ha insistito «e spesso i titolari prelevavano soldi dalla cassetta in cui veniva inserito il contante». Circostanza però negata dalle colleghe, mentre qualche paziente ha fornito ricostruzioni più o meno sfumate.

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