Inchiesta su Ginecologia: specializzandi usati come tappabuchi

PADOVA. Sono medici in formazione, ovvero specializzandi. Di fatto, sono medici tappabuchi di una sistema sanitario dove la carenza di organico li costringe a mandare avanti l’intero reparto costituito dalla Clinica di ostetricia e ginecologia dell’Azienda ospedaliera di Padova. A loro rischio e pericolo perché se succede qualche grana, magari in sala operatoria, sono chiamati anche loro a rispondere in sede penale e civile. Esattamente come se fossero medici strutturati (cioè dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato), nonostante siano di fatto “studenti” della branca medica di cui aspirano a diventare specialisti. Ecco le prime risultanze dell’inchiesta avviata dal pubblico ministero Sergio Dini sull’impiego dei medici specializzandi nella Clinica diretta dal professor Giovanni Battista Nardelli. Ed è solo il primo passo di un’indagine che, partita dalla Clinica ostetrico-ginecologica, si estenderà alle altre Cliniche dove svolgono la formazione gli specializzandi dell’università di Padova.
I carabinieri del Nas, su incarico del magistrato, hanno già sentito una ventina di specializzanti oltre al direttore Nardelli e al professor Donato Nitti, referente della scuola post-laurea per le specializzazioni. Sono stati i due cattedratici a confermare e completare gran parte del quadro ricostruito dagli investigatori. Un quadro scioccante se si considera la delicatezza del tema nell’ambito di un’indagine (per ora senza indagati) che sembra far emergere, più che ipotesi di reato, gravi responsabilità politiche.
Nardelli e Nitti hanno confermato che, in Clinica, il rapporto fra medici strutturati e specializzandi è di 1 a 5, al massino 6: prima della spending review, varata la scorsa estate dal governo Monti per ridimensionare i conti pubblici (ma da qualche anno il cambiamento era in atto), quel rapporto era diverso visto che ogni 35 medici strutturati c’erano 30 specializzandi in grado di svolgere serenamente l’attività di apprendimento sempre affiancati da un “esperto”, il tutor. Oggi non è più così: gli specializzandi imparano lavorando duro a qualsiasi ora tanto che la loro disponibilità si spalma sull’intero arco della giornata (coprono pure i turni notturni) e riguarda tutti gli atti medici, dalle attività chirurgiche alle manovre strumentali, dalla consulenza e diagnosi alle prescrizioni terapeutiche. Si è arrivati al paradosso che la presenza degli strutturati è limitata, di fronte a organici sempre più striminziti, e gli specializzandi si accollano tutte le prestazioni erogate dal reparto sia per entità che per qualità. Il loro ruolo? Lo hanno ammesso gli stessi Nardelli e Nitti: significativo e talvolta senza la presenza del medico strutturato o esperto. Insomma i medici in formazione (perché tali sono, visto che frequentano la scuola di specializzazione) si trovano a lavorare in totale autonomia, anche se l’attività svolta dovrebbe essere sempre supervisionata dai colleghi strutturati. E questo accade non per loro volontà. Non c’è possibilità di scelta: prendere o lasciare se vogliono specializzarsi, è la crisi che lo impone e vieta di contare su un budget sufficiente per garantire nuove assunzioni. Il professor Nardelli ha spiegato: la Clinica ostetrico-ginecologica versa in una grave situazione per la carenza di medici strutturati e gli specializzandi assicurano la continuità delle cure in base al livello di autonomia professionale acquisita per anno di anzianità della scuola. Non è un caso, poi, se inchieste come questa siano partorite da altre indagini dove la solitudine degli specializzandi, costretti a fronteggiare in sala parto qualche emergenza e a chiamare il medico strutturato che non è presente, li espone a guai giudiziari. Guai che possono macchiare una carriera prima ancora del suo inizio.
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