Insegna vietata, il Comune perde al Tar

L’insegna di un parrucchiere prima autorizzata e poi vietata nel sottoportico di via San Fermo: è il caso che porta nuovamente il Comune a perdere una causa al Tar, il tribunale amministrativo regionale, e a essere costretto a pagare spese e oneri per oltre 2 mila euro.
È stato il negozio «Go Coppola parrucchieri» di Gaetano Ingoglia che ha portato davanti ai giudici amministrativi veneziani l’amministrazione. Tutto nasce appunto da quell’insegna, 180 per 50 centimetri, fissata al sottoportico. Autorizzata il 3 aprile 2014 e poi invece vietata il 4 novembre 2015 in base al regolamento comunale della pubblicità, che vieta «l’installazione di insegne tra gli intercolumni dei portici o trasversalmente ad essi o sui pilastri».
Una norma che però il Comune avrebbe applicato in modo «sterile e meramente formalistico», secondo quanto scritto nella sentenza dal collegio di giudici, guidato da OriaSettesoldi.
Il negozio infatti ha contestato la decisione del Comune, in primis perché sono passati più di 18 mesi dall’autorizzazione e poi perché non c’è interesse pubblico e, anzi, c’è un «eccesso di potere», non avendo gli uffici comunali preso in considerazione i rilievi difensivi del titolare del negozio.
A giocare un ruolo nel contenzioso è stato anche il fatto che quell’insegna, seppure sostituita e rinnovata, sta nel sottoportico di via San Fermo da 40 anni, sempre per pubblicizzare un acconciatore.
L’amministrazione ha deciso di costituirsi in giudizio e replicare alle richieste del negoziante. La versione dei legali dell’avvocatura civica non ha però convinto i giudici. «La decisione è stata presa dagli uffici», hanno spiegato.
Ma per il Tar non è una spiegazione convincente. Anzi «dimostra che non sono state in alcun modo valutate le controdeduzioni». Perché i giudici hanno chiarito che, senza che ci sia un obbligo di accoglimento, i rilievi della controparte devono essere valutati e approfonditi. E questo si dovrebbe dedurre dalle motivazioni che accompagnano il divieto.
Da qui la condanna del Comune di Padova a pagare le spese. Si tratta di 1.500 euro più 650 euro per il contributo unificato e gli altri oneri di legge. Negli ultimi mesi anche un altro barbiere, il nigeriano Ethelbert Chinasa Ejimadu, aveva vinto al Tar contro il Comune, per un’ordinanza anti-degrado che gli imponeva di chiudere prima. E per lo stesso motivo Palazzo Moroni aveva avuto torto dai giudici anche nel caso del kebab di piazza delle Erbe. (c.mal.)
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