«Intolleranze alimentari I bimbi rischiano la vita»

Dottoressa Muraro sono più di 55 mila nel Veneto i bambini colpiti da allergie alimentari, 1000 a rischio di reazioni gravi, a volte mortali, come lo shock anafilattico. Fortissimo l’impatto sociale. Qual è la risposta del vostro Centro?
«Il Centro per le Allergie Alimentari che dirigo dal 2005 e opera nell’Azienda Ospedaliera di Padova, Centro di riferimento Regionale, è inserito in una rete di centri di eccellenza europei dedicati all’Allergologia e all’Allergia Alimentare e si distingue per competenze professionali e qualità del servizio. Dal momento che i sintomi dell’Allergia Alimentare possono interessare il pneumologo, l’allergologo, il gastroenterologo e altre figure mediche, la diagnosi è frutto di integrazione e di confronto. Si tratta di un sistema multiprofessionale perché oltre ai medici collaborano alla valutazione complessiva del paziente una dietista e una psicologa».
Con quali funzioni?
«Il ruolo della dietista, specializzata in allergie alimentari, è fondamentale. Deve effettuare una valutazione dell’apporto calorico di alimenti sicuri che non creino reazioni nel paziente. E ciò va continuamente aggiornato per via dell’evoluzione continua degli ingredienti soprattutto negli alimenti industriali. Ogni paziente al Centro ha il suo programma elettronico con gli alimenti consigliati. Anche il contributo della psicologa è essenziale. La malattia ha risvolti emozionali formidabili, incide sulle abitudini e sulle dinamiche relazionali. I genitori dei bambini con allergie alimentari tendono ad isolarsi, non frequentano più gli amici, non vanno al ristorante, i bimbi non partecipano alle festine con i loro coetanei. La psicologa deve costruire gruppi di autodifesa con i genitori e con gli adolescenti che spesso pongono in essere comportamenti rischiosi perché tendono a nascondere il problema per non sentirsi diversi dagli amici. Per esempio non portano con sé il farmaco salvavita (adrenalina iniettabile). Inoltre soffrono di stati d’ansia, vivono nella paura che scatena reazioni che sembrano quelle della malattia stessa».
Come si affronta la complessità della malattia? C’è sufficiente consapevolezza?
«Il Centro realizza la presa in carico globale del paziente, il che significa superare i confini della diagnosi e della terapia coinvolgendo tutti gli aspetti sociali della malattia sul territorio. Puntiamo ad integrare le competenze sul territorio organizzando dei corsi in tutte le scuole del Veneto. Il Centro di Padova in collaborazione con l’associazione Food Allergy Italia associazione dei pazienti, e con le Istituzioni Scolastiche Regionali ha formato sulla patologia, circa 3000 persone tra insegnanti, cuoche e operatori scolastici. A tutti è stata spiegata la malattia e con quali farmaci salvavita si deve intervenire e quali sono i problemi medico-legali. Oltre agli interventi scolastici ci sono corsi con i pediatri e i medici di famiglia, con i medici di pronto soccorso e sono iniziati, corsi per ristoratori. Ogni anno nella Settimana delle Allergie Alimentari dall’12 al 19 maggio, il Centro per le Allergie Alimentari organizza di divulgazione sul tema».
Risulta che i casi di allergia alimentare, non solo nel Veneto, ma in tutta la popolazione occidentale siano in continuo aumento. Perché?
«Dipende dallo stile di vita, dall’inquinamento atmosferico, ma soprattutto dal fumo. Il fumo induce la cosiddetta metilazione del Dna che altera i messaggi biologici. E’ il fumo della madre, in particolare, che prepara il terreno all’allergia del figlio. Poi ci sono altre componenti come la carenza di vitamina D o l’eccesso di acido folico. Lo shock anafilattico, rappresenta la reazione allergica più grave con compromissione delle funzioni cardiocircolatoria e respiratoria a causa di varie sostanze che vengono liberate nel sangue tra cui l’istamina, sostanza tissutale, potente vasodilatatore capillare che dà luogo alle manifestazioni allergiche».
Quali sono le principali allergie alimentari? E qual è l’orizzonte della malattia a livello regionale?
«In Veneto sono più di 55 mila gli under 18 allergici ai cibi e 23 mila i bambini fra 0 e 5 anni che soffrono di allergia a uno o più alimenti, (8500 al latte vaccino, 7000 alle uova, 4000 non tollerano arachidi, noci, nocciole, 3500 sono reattivi ad altri alimenti, quali il pomodoro, il grano, la soia, i crostacei, a frutta e verdura). E’ come vivere con una spada di Damocle sospesa sopra la testa. Alcuni pazienti allergici possono rischiare la vita al ristorante, se, per caso la carne è stata cotta aggiungendo un po’ di latte o se nel dolce c’è una spolverata di arachidi o nocciole o alla mensa scolastica se le lasagne sono fatte con pasta all’uovo. Se si pensa che solo un under 18 su 1000 ha sempre con sé la penna salvavita con l’adrenalina autoiniettabile, diventano quindi particolarmente apprezzabili, i corsi dedicati al personale scolastico di ogni ordine e grado per formare insegnanti e personale in grado di gestire le allergie alimentari. Va sottolineato che una reazione allergica grave su tre avviene alla scuola materna o elementare».
Dottoressa Muraro, lei è responsabile dell’unico Centro Italiano dedicato allo studio e alla cura delle allergie e delle intolleranze alimentari, da questo osservatorio che cosa risalta in modo particolare? Quali iniziative vanno prese?
«Sforzi maggiori devono essere fatti per identificare i soggetti a rischio con una diagnosi precoce e appropriata attraverso prove allergologiche cutanee e nel sangue. L’esclusione dell’alimento rappresenta tuttora l’unico trattamento efficace nella prevenzione della reazione allergica. Sono in corso evoluzioni significative per le possibili cure che vanno dalla desensibilizzazione per via orale ai preparati a base di erbe cinesi fino alla realizzazione di veri e propri vaccini. Negli ultimi dieci anni il numero dei bambini allergici è cresciuto del 20 per cento mentre i ricoveri per reazione allergica grave nella fascia fra 0 e 14 anni sono aumentati di 7 volte e sono triplicate le visite ambulatoriali pediatriche per allergie alimentari».
Qual è l’allergia alimentare più frequente?
«E’ quella al latte vaccino. In Italia oltre 100 mila bimbi da 0 a 5 anni non tollerano il latte, di cui 8500 nel Veneto. Le famiglie sono costrette a far uso di latte speciale molto costoso. Ed è un grosso problema perché se i piccoli non assumono un sostituto del latte vaccino possono andare incontro a gravi squilibri nutrizionali con crescita compromessa e, a volte, vera e propria malnutrizione. Un barattolo da 400 grammi di latte speciale per bambini allergici alle proteine del latte vaccino costa dai 20 ai 48 euro. Se pensiamo che un lattante di 4 mesi consuma dai 2 ai 3 barattoli alla settimana, la spesa mensile si aggira in media sui 500 euro e per i primi due anni di vita, in cui questo latte è indispensabile, le famiglie venete spendono complessivamente circa 4 milioni di euro l’anno. Come Centro, stiamo valutando la possibilità di certificare la patologia affinché in futuro vengano consentiti degli sgravi per la fornitura di questo latte».
Per l’anafilassi quali misure di controllo sono state messe a punto dal Centro?
«L’allergia alimentare rappresenta la prima causa di anafilassi nel bambino e la seconda nell’adulto, dopo i farmaci. Caratteristica dell’anafilassi da alimenti è quella di verificarsi in famiglia, nelle mense, al ristorante dove il paziente svolge la sua vita sociale. Il centro di Padova ha quindi messo in opera un programma di monitoraggio che coinvolge tutti i Pronto Soccorso del Veneto».
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