«Io voglio sapere chi ha ridotto così il mio adorato figlio»
Parla la madre del ragazzo a cui hanno sparato al Prix Sono trascorsi quattro anni e ancora non c’è un colpevole

PADOVA. «Ogni notte quando appoggio la testa sul cuscino mi sento schiacciata da due domande. Sono sempre le stesse ormai da quattro anni. Chi? E perché?». Cristina Calore accarezza il viso di suo figlio Andrea che ormai si è fatto uomo. Quattro anni fa era un ragazzo con un lavoro stabile come commesso in supermercato. Oggi di quella vita non c’è più traccia, se non fosse per qualche foto appesa ai muri di casa. Andrea Furlan di anni ne ha 27 (fatti il 3 ottobre scorso) ma non va al lavoro, non si muove, non parla, non esce la sera, non risponde ai messaggi degli amici. Guarda la mamma che lo accarezza e gli brillano gli occhi. È il suo modo per dirle “ti voglio bene”. Andrea così com’è oggi è ciò che rimane di un giallo mai risolto, il mistero angosciante di un sabato sera di metà dicembre, con le temperature vicine allo zero e la nebbia che copre tutto. Aveva terminato il turno di lavoro al supermercato Prix di Albignasego, quando uscendo dal retro è stato colpito in testa da un proiettile. Foro d’ingresso sopra l’orecchio sinistro, foro d’uscita sulla fronte. Chi ha premuto quel grilletto è una specie di fantasma. La sagoma è quella di uomo incappucciato ma al posto della faccia c’è un punto interrogativo. Un pensiero che logora questa famiglia con un figlio ridotto a vivere in stato vegetativo.
Un piccolo identikit c’era ma gli inquirenti non sono mai riusciti ad attribuire un nome a quella sagoma.
«Il direttore del supermercato disse di aver visto in lontananza due piedi. C’era una persona inginocchiata in quella stanza. Una persona china sul corpo di Andrea. Aveva un cappuccio e fuoriuscivano delle ciocche di capelli ricci. Dopo qualche istante si è alzato, è uscito e ha richiuso la porta da cui era entrato».
Sono stati fatti numerosi accertamenti. È mai emerso nulla sulla persona che ha premuto il grilletto?
«È un fantasma. Ha fatto tutto in modo perfetto. Tempi che coincidono, zero indizi. Perfino il calibro della pistola è incerto. Mi sembra perfino impossibile».
Che idea si è fatta?
«Le ipotesi sono sempre state tre e continuano ad esserlo: regolamento di conti, scambio di persona o rapina».
Partiamo dal regolamento di conti. È possibile?
«Il mio Andrea aveva 23 anni. Può anche aver sbagliato qualcosa, può aver commesso un errore ma come è possibile che non abbia condiviso questa cosa con nessuno? Gli hanno controllato il telefonino, il computer, il tablet. Hanno sentito amici, parenti, colleghi di lavoro. Non è emerso nulla di strano, di sospetto. E poi, anche se fosse veramente un regolamento di conti, come facevano a sapere che era lì in quel preciso momento?».
E sullo scambio di persona?
«Quella mattina, il 14 dicembre 2013, il direttore aveva avuto dei problemi con alcuni clienti. Chissà se questi poi hanno deciso di vendicarsi, se magari pensavano che da quella scala sul retro, a quell’ora, fosse proprio il direttore a scendere».
La rapina, forse, è la meno credibile.
«Beh, certo. Non è stato rubato niente».
Le indagini proseguono?
«Temo che ormai sia tutto fermo. In quei giorni i carabinieri le hanno provate tutte. Hanno battuto a tappeto le sale giochi in cui aveva lavorato e le discoteche che frequentava con gli amici. Hanno veramente indagato dappertutto, senza trascurare nulla. Purtroppo dopo quattro anni non so ancora chi ha ridotto in questo stato il mio Andrea».
Com’è cambiata la vostra vita?
«Per me mio figlio ha ancora 23 anni, perché questi quattro che sono passati non li ha vissuti affatto. Dopo quella maledetta sera è rimasto per dieci mesi in ospedale e adesso eccolo qua. Incollato a una carrozzina attrezzata, ridotto a vivere così. Abbiamo installato in casa un ascensore, abbiamo ingaggiato due persone che ogni giorno lo assistono a casa. La nostra vita è finita, è come se quello sparo avesse ucciso tutta la famiglia».
Ha mai pensato al fine vita?
«Sì, ci ho pensato ma io sono sua madre. La vita gliel’ho data, come posso togliergliela ora? Certo, è una sofferenza vederlo in questo stato mentre i suoi coetanei li incrocio in giro per strada, o al centro commerciale. Ma il mio cuore di mamma mi dice che Andrea deve rimanere qui con noi, finché qualcosa non se lo porterà via».
Riesce a comunicare in qualche modo con voi?
«Quando lo accarezzo gli si illuminano gli occhi. Solo questo ma per me è già tanto».
Com’era suo figlio?
«Era un ragazzo permaloso, forse carico di rabbia. Aveva sofferto molto la separazione tra me e mio marito. Tuttavia, i difetti del carattere erano quasi annullati dalla sua gentilezza, dalla sensibilità che dimostrava. Era una persona buona. Dopo le superiori si era iscritto a Scienze politiche ma poi ha mollato tutto ed è andato a lavorare. Ha fatto due esperienze in altrettante sale scommesse, ad Albignasego e Abano. Poi ha cominciato al Prix».
Come si trovava in quel supermercato?
«Diceva che il direttore lo tartassava, io credo che lo facesse per spronarlo. E ci stava riuscendo».
Quella sera andò il padre a prenderlo in auto. Come mai?
«Andrea solitamente andava a lavorare in bicicletta ma quel giorno era molto freddo quindi il padre si offrì di accompagnarlo e verso le 20.30 si fermò con l’auto lì fuori, in attesa che uscisse. Se penso che la persona che ha sparato gli è quasi sicuramente passata accanto, mi vengono i brividi».
Il suo ex marito è stato uno dei primi a vedere Andrea steso a terra.
«Era lì in auto quando vide entrare l’ambulanza a sirene spiegate. Decise di entrare nel cortile, osservò oltre quella porta e vide Andrea a terra in un lago di sangue».
Lei, invece, venne avvisata molto dopo.
«Mi chiamò mia figlia: “Mamma hanno fatto una rapina al Prix, hanno sparato ad Andrea”. Ciò che ancora oggi mi stupisce è che rimasi calma. Dentro di me pensavo: gli avranno sparato a un braccio, a una gamba. Sembra assurdo come ragionamento ma nel momento in cui ci vengono date notizie così forti la nostra mente cerca di metabolizzarle in qualche modo. Certo, non potevo immaginare che un proiettile gli avesse trafitto il cervello».
Qual è l’ultima immagine che ha di suo figlio?
«Qualche giorno prima avevamo litigato, avevamo messo tra noi molto silenzio. Poi il 12 dicembre ci siamo sentiti al telefono, mi ha chiesto scusa e ricordo che andai anche a prenderlo al lavoro. Lo accompagnai a casa del mio ex marito, dove lui aveva deciso di vivere da qualche anno. Quella è l’ultima volta in cui ho visto Andrea, il mio Andrea».
Adesso cosa spera?
«Da un lato penso che sarebbe meglio non sapere mai chi ha distrutto in questo modo le nostre vite. Poi però, razionalmente, dico che è un mio diritto sapere chi è perché. Io chiedo verità per il mio Andrea».
e.ferro@mattinopadova.it
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