«Italiani, popolo di analfabeti scientifici»
Mario Tozzi presiede la giuria del premio Galileo

Mario Tozzi
Non sono molti i divulgatori scientifici italiani che hanno accesso al grande pubblico. Mario Tozzi è uno di loro. I suoi libri, le sue trasmissioni televisive, a cominciare da Gaia, hanno contribuito a rendere la geologia una materia più familiare agli italiani, eppure anche uno come lui non è ottimista sul destino della scienza in Italia: «Ancora oggi - dice - in Italia si è considerati ignoranti se non si conoscono le prime righe dei Promessi Sposi, ma non ci si stupisce se uno confonde il Watson aiutante di Sherlock Holmes con lo scopritore della struttura della molecola del Dna». Mario Tozzi sarà a Padova venerdì per presiedere la giuria tecnica della quinta edizione del premio Galileo dedicato ai libri di divulgazione scientifica. «Far parte di una giuria come questa - dice - è un impegno faticoso ma lo faccio volentieri perché mi incuriosisce, mi interessa mantenermi informato sulle opere di divulgazione scientifica, mi piace partecipare ad un dibattito importante come è quello della alfabetizzazione scientifica degli italiani». Perché, nonostante tutto, questa è la realtà. Scientificamente gli italiani rimangono analfabeti. «Certo - dice Tozzi - negli ultimi anni i testi divulgativi pubblicati sono stati molti più che in passato, ma si rivolgono ad una platea ridotta, quella di lettori che sono già acculturati, non c'è stato un vero ampliamento della base delle persone alfabetizzate». E forse neppure la televisione riesce a fare molto. «Non mi pare - continua Tozzi - che negli ultimi anni si siano fatti sforzi in questa direzione, e poi la televisione è molto limitata nei tempi, nel linguaggio, non può invertire una tendenza». Ed allora? «L'unica soluzione è quella che deve venire dalla scuola, ma la scienza è insegnata poco e male, non tanto nelle scuole elementari e medie, dove la curiosità degli studenti viene tenuta viva, ma proprio quando si dovrebbe passare alle cose importanti». Dunque premi come il Galileo sono importanti, ma difficilmente possono invertire una tendenza. «Problemi come il nucleare o le modificazioni climatiche dovrebbero essere affrontate prima ancora che politicamente, dal punto di vista scientifico, con un metodo rigoroso, ma questo da noi non avviene, si preferisce fare ideologia e discutere senza neppure sapere quello di cui si parla». Perché quello che manca - secondo Tozzi - è proprio l'atteggiamento mentale, il metodo, e questo è uno dei compiti del divulgatore, anche quello televisivo. «Il nostro maestro è stato Piero Angela - dice Tozzi - io lo chiamo il nostro Mahatma, poi ognuno ha portato qualcosa di nuovo, io il mio essere un ricercatore prima che un giornalista e questo è utile perché evita un passaggio». Sì, perché oggi nel mondo a divulgare sono tanto gli scienziati quanto i giornalisti. Tozzi preferisce gli scienziati. «Si evita di tradurre la materia in un metalinguaggio, come fa il giornalista. E poi una recente ricerca inglese mostra come i giornalisti scientifici italiani non vadano quasi mai alle fonti dirette. Non leggono il saggio su Nature, leggono la versione semplificata di National Geographic. Io sento anche la responsabilità di comportarsi con coerenza. Io cerco di farlo: non ho la macchina, per esempio, e sono anche vegetariano».
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