«Italiano, l’ex capitano del Padova non ha truccato alcuna partita»

Calcioscommesse, il pm Roberti chiede di archiviare l’accusa di frode sportiva. Il calciatore: «Mi hanno sottratto 9 mesi di vita, dopo tanta sofferenza riconosciuta la mia onestà»
nocerina padova italiano
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PADOVA. «Il mio sogno? Era quello di concludere la mia carriera calcistica nel Padova. Un sogno che mi è stato rubato. Sono stato colpito da un’accusa infame che mi ha fatto stare male, male e ancora male. E mi ha sottratto 9 mesi di vita. Quel bruttissimo periodo non me lo restituirà più nessuno. Ma ora, finalmente, un pubblico ministero ha detto la sacrosanta verità. Ora, almeno, è stata riconosciutala mia onestà».

È commosso il centrocampista Vincenzo Italiano, classe 1977, l’ex capitano dei biancoscudati siciliano d’origine, una residenza a Verona e una casa a Padova dove, di fatto, vive con la famiglia. La procura di Padova ha chiesto l’archiviazione del procedimento penale che contestava al calciatore (ex Genoa, Chievo e Verona, prima di approdare al Padova) di aver offerto danaro a un collega del Grosseto Calcio per truccare la partita Padova-Grosseto, svoltasi nella città del Santo il 23 marzo 2010. Non se n’era fatto nulla: la partita era stata ugualmente vinta dai padroni di casa per 1 a 0. Il reato contestato? Frode in competizioni sportive, reato disciplinato dalla legge 401 del 1989. Il procedimento era un troncone partorito dalla mega-inchiesta avviata dalla procura di Cremona sul calcio-scommesse, 130 indagati tra calciatori di serie A, B e Lega Pro, ex giocatori e dirigenti. Il fascicolo sul giocatore biancoscudato era stato trasmesso per competenza al pm padovano Benedetto Roberti.

Ed è stato proprio il magistrato, esperto in reati sportivi (dalle scommesse al doping) a sollecitare l’archiviazione delle accuse per Italiano perché «sulla base della lettura dei documenti acquisiti e degli interrogatori (in particolare quelli del calciatore Marco Turati) non ci sono gli estremi per l’esercizio dell’azione penale dato che l’indagato nega il fatto e Turati, il suo interlocutore, nega l’addebito» si legge nella richiesta. Vincenzo Italiano era stato accusato da un giocatore del Grosseto, Filippo Carobbio: quest’ultimo era stato a sua volte denunciato per calunnia dal presidente della squadra toscana, chiamato in causa come istigatore della compravendita di alcune partite. Nel febbraio 2012 Carobbio riferisce alla Figc (Federazione gioco calcio) di aver saputo che Turati, suo compagno di squadra, era stato contattato da Italiano disponibile a offrirgli danaro in cambio di una sconfitta del Grosseto. Gli atti vengono trasmessi alla magistratura ordinaria. Turati viene interrogato il 12 maggio e l’11 luglio 2012: ammette un contatto telefonico con Italiano, suo amico, prima della partita ma esclude in modo categorico qualsiasi richiesta di combine, un patto illecito per concordare il risultato. Eppure Turati «in numerosi interrogatori confessava la sua partecipazione in illeciti di altre numerose partite» rileva il pm Roberti.

Insomma, perché avrebbe dovuto mentire? In più, non è mai stata trovata la prova regina, l’ammontare del danaro offerto. E poco importa che la giustizia sportiva abbia condannato Italiano a 3 anni di squalifica in primo grado per frode, poi ridotti a 9 mesi per condotta antisportiva: la giustizia sportiva riguarda illeciti disciplinari (non violazioni penali) e si fonda su regole meno stringenti (non serve la prova oltre ogni ragionevole dubbio). «Non so perché Carrobbio mi abbia tirato in campo: l’ho incontrato solo in gara» racconta Italiano, oggi allenatore della squadra Allievi Luparense-San Paolo, «È vero che la sera prima della partita, dal ritiro ad Abano, avevo telefonato all’amico Turati: era per un saluto, la promessa di scambiare le maglie... Figuriamoci, da quella partita uscii dopo 5 minuti per uno strappo. Purtroppo ho finito la carriera nel Lumezzane dopo 9 mesi di fermo. Sono stato offeso sui Solcial e c’è stata gente che mi ha etichettato per quella persona che non sono».

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