Kofler, 10 anni per un processo Reati prescritti: tutti scagionati

Reati prescritti per tutti: arriva un colpo di spugna sul processo relativo al ristorante Kofler. Erano imputati i titolari della società di gestione dell’epoca (il controllo risale al lontano 26 marzo del 2010): Giancarlo Pavin, 54 anni di Selvazzano; Tiziano Pavin, 48 di Rubano; Andrea Vesco, 44 anni di Mogliano Veneto (Treviso); Fabrizio Baraldo, 57 anni di Due Carrare; accanto a loro la consulente del lavoro Monica Dresseno, 47 anni di Noventa Vicentina. Le accuse di cui tutti e cinque erano chiamati a rispondere erano associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In più i due Pavin insieme a Dresseno erano accusati di concorso in truffa aggravata nei confronti dell’Inps per aver omesso di versare contributi per un valore di circa 45 mila euro negli anni 2009, 2010 e 2011; mentre sempre ai Pavin, alla consulente del lavoro e a Baraldo era contestata la violazione dell’articolo 22 del Testo Unico sugli immigrati, in particolare della norma destinata a punire «il datore di lavoro che occupa lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno».
giallo della firma
Il processo celebra la sua prima udienza l’11 febbraio del 2014. Ma si verifica subito un problema non indifferente. Il difensore della consulente del lavoro, Monica Dresseno, eccepisce la falsità della firma scritta sulla ricevuta destinata a dimostrare la notifica su un atto: l’imputata non ha riconosciuto la sua calligrafia, depositando in aula una perizia e una querela per falso. Eccezione accolta. Tutti gli atti seguenti (compreso l’atto di rinvio a giudizio) sono stati annullati e rispediti all’ufficio del pm per rifare le procedure. È qui probabilmente che tutto si arena e si perde tempo (anni) preziosi ai fini della prescrizione.
controllo del 2010
Era il 26 marzo 2010 quando i carabinieri del Nas con l’Ispettorato del Lavoro eseguono un controllo a tappeto nel locale. Un controllo mirato e ben organizzato visto che sono messi in campo ben 48 tra militari e ispettori: c’era stata una soffiata molto precisa che informava dell’impiego di manodopera clandestina e di presunti lavoratori in nero nel ristorante. Così, mentre alcuni dipendenti dell’Est risultavano regolari, in cucina viene scoperto un cuoco albanese regolarizzato, grazie alla sanatoria, come badante e non per la reale attività svolta che prevede anche costanti controlli di tipo sanitario. Per quest'ultimo la società si giustifica, spiegando che si tratta di un lavoratore in prova. Il processo vede ora la parola fine, tutto si è prescritto, prima che finisca il primo grado. —
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