Kofler, associazione a delinquere

Si aggrava la posizione dei titolari del ristorante per aver impiegato manodopera clandestina
- L'interno del Kofler di Padova che e' una moda tra giovani e adulti
- L'interno del Kofler di Padova che e' una moda tra giovani e adulti

PALESTRO. C’è una nuova gravissima contestazione che emerge dal fascicolo d’indagine di cui sono protagonisti i vertici del ristorante Kofler in via Bronzetti. È il reato di associazione a delinquere, cartina di tornasole per una rilettura della vicenda giudiziaria iniziata la sera del 26 marzo 2010 quando i carabinieri del reparto operativo e del Nas, insieme all’Ispettorato del Lavoro, mettono a segno, a colpo sicuro, un controllo sull’impiego del personale. Controllo tutt’altro che casuale, provocato da dettagliati esposti e segnalazioni anonimi sull’assunzione di clandestino e l’utilizzo di lavoratori “in nero”.

Chiusa formalmente l’inchiesta, il pubblico ministero Sergio Dini ha contestato a tutti e cinque gli indagati il reato associativo finalizzato al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: i titolari della società Giancarlo Pavin, 47 anni di Selvazzano, e Tiziano Pavin, 41 di Rubano ; Andrea Vesco, 37 anni di Mogliano Veneto (Treviso); Fabrizio Baraldo, 50 anni di Carrara San Giorgio e la consulente del lavoro Monica Dresseno, 40 anni di Noventa Vicentina.

I Pavin con Dresseno devono pure rispondere di concorso in truffa aggravata nei confronti dell’Inps per aver omesso di versare contributi pari a 45 mila euro negli anni 2009, 2010 e 2011; mentre sempre i Pavin con Dresseno e Baraldo sono accusati di aver violato l’articolo 22 del Testo Unico sugli immigrati: la norma «punisce il datore di lavoro che occupa lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno».

Locale elegante e gettonato dalla buona borghesia padovana, il Kofler era tenuto discretamente sotto controllo di fronte al sospetto che fosse impiegata manovalanza straniera non in regola. Nel 2008 il pizzaiolo del Centro Kofler era stato arrestato insieme a un albanese per violenza carnale ai danni di una prostituta. Trasferito in carcere, il medico della struttura penitenziaria aveva scoperto che era affetto da tubercolosi. Il controllo per contrastare lo sfruttamento degli stranieri irregolari, infatti, non si traduce solo in una tutela delle condizioni in cui operano i lavoratori, ma anche in una garanzia per gli utenti, soprattutto sotto il profilo sanitario. Nel blitz del 2010 risultarono in servizio 48 persone: in cucina c’era un albanese regolarizzato come badante, ma anche altri lavoratori, tutti provenienti dall’est Europa, non avevano le carte in regola. Uno dei titolari si era giustificato spiegando che l’aiuto cuoco era ancora in prova.

Cristina Genesin

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