Kofler, irregolari al lavoro tutti finiscono a processo

Nel 2010 il blitz dei carabinieri del Nas con l’Ispettorato del lavoro nel ristorante in via Bronzetti. Tra le accuse il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
- L'interno del Kofler di Padova che e' una moda tra giovani e adulti
- L'interno del Kofler di Padova che e' una moda tra giovani e adulti

Appuntamento davanti ai giudici del tribunale il prossimo 14 febbraio per i titolari della Gran Caffetteria Kofler in via Bronzetti, l’ampio ed elegante ristorante con 700 coperti inaugurato nel 2008, molto gettonato dalla clientela padovana e non solo. Il gup padovano Lara Fortuna ha accolto la richiesta di mandarli a processo sollecitata dal pubblico ministero Sergio Dini: siederanno sul banco degli imputati i titolari della società Giancarlo Pavin, 48 anni di Selvazzano; Tiziano Pavin, 42 di Rubano; Andrea Vesco, 38 anni di Mogliano Veneto (Treviso); Fabrizio Baraldo, 51 anni di Due Carrare; accanto a loro la consulente del lavoro Monica Dresseno, 41 anni di Noventa Vicentina. Le accuse di cui tutti e cinque sono chiamati a rispondere? Associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

In più i due Pavin insieme a Dresseno sono accusati di concorso in truffa aggravata nei confronti dell'Inps per aver omesso di versare contributi per un valore di circa 45 mila euro negli anni 2009, 2010 e 2011; mentre sempre ai Pavin, alla consulente del lavoro e a Baraldo è contestata la violazione dell’articolo 22 del Testo Unico sugli immigrati, in particolare della norma destinata a punire «il datore di lavoro che occupa lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno».

È il 26 marzo 2010 e i carabinieri del Nas con l’Ispettorato del Lavoro eseguono un controllo a tappeto nel locale. Un controllo mirato e ben organizzato visto che sono messi in campo ben 48 tra militari e ispettori: c’è stata una soffiata molto precisa che ha informato dell’impiego di manodopera clandestina e di lavoratori “in nero” nel ristorante. Così, mentre alcuni dipendenti dell’Est (moldavi e albanesi anche se non manca qualche nigeriano) risultavano regolari, in cucina viene scoperto un cuoco albanese regolarizzato, grazie alla sanatoria, come badante e non per la reale attività svolta che prevede anche costanti controlli di tipo sanitario. Per quest’ultimo la società si giustifica, spiegando che si tratta di un lavoratore in prova. Nell’occasione della visita viene ordinata la distruzione di circa 100 chili di prodotti alimentari. «Si trattava di prodotti freschissimi, ma mancavano alcune etichette. Ammetto: negligenza nostra» aveva spiegato all’epoca Pier Alessandro Pavin, amministratore delegato della società che gestisce il ristorante.

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