L’1 maggio del 1945 la Casa del fascio saltò in aria, 20 morti La strage dimenticata

Episodio mai chiarito: incidente (c’erano armi e munizioni) o attentato? Alberto Savio prova a ricostruire la vicenda dando voce ai superstiti 
Cristina Salvato

la storia

CADONEGHE

Il primo maggio a Cadoneghe ricorre l’anniversario di una strage dimenticata: l’esplosione della Casa del fascio, nella quale morirono venti persone. La maggior parte aveva poco più che vent’anni: tra loro c’erano anche un ragazzino di 12 anni, Sergio, e il più piccolo, Angelo, che di anni ne aveva appena 9. Un episodio mai chiarito: incidente, attentato? Sta di fatto che sulla strage della Casa del fascio è caduto l’oblio e a ricordare le venti vittime rimangono una lapide appesa all’ufficio tecnico, ex ufficio postale, sorto proprio dove era collocato l’edificio esploso, e il sacrario nel quale riposano, all’interno del cimitero comunale. A dar voce ai superstiti e a cercare di ricostruire la vicenda attraverso la voce diretta di chi visse quegli istanti terribili ci ha recentemente pensato Alberto Savio, che ha ricostruito la storia di una delle vittime, Giuseppina Bertorelle, sentendo la nipote Marina, ma anche il figlio Franco e il fratello Maurizio, entrambi miracolosamente sopravvissuti. Quell’esplosione cambierà per sempre la storia della loro famiglia.

caos

Era il primo maggio del 1945, l’Italia era libera da pochi giorni, regnava il caos, tra tentativi di costruire una democrazia e atti di giustizia sommaria. La Casa del fascio, che si affaccia su quella che oggi è piazza Insurrezione, è stata abbandonata dai fascisti: sul suo balcone, da cui i gerarchi arringavano la folla e che era anche la sede delle esercitazioni paramilitari del sabato pomeriggio, sono fatte salire alcune donne considerate fasciste, per tagliare loro i capelli, in segno di estremo disprezzo. I bambini, come Maurizio Bertorelle, che all’epoca aveva 9 anni, sanno che ci sarà questa sorte di “esecuzione”, ma anche che si potrà mangiare gratis: i partigiani, infatti, avevano fatto arrivare le cucine dalle officine Breda e si distribuiva cibo alla popolazione stremata e affamata, prigionieri compresi.

il racconto

«Maurizio è in coda, con i suoi amici coetanei Angelo Parpaiola e Severino Testa, per ricevere un panino», riporta Alberto Savio, riferendo le parole dell’uomo, oggi 85enne. «Sono appena usciti dalla Casa del fascio, ora quartier generale del Comitato di liberazione nazionale locale, dove hanno ammirato, con la curiosità tipica dei ragazzini, un vero e proprio arsenale di armi e munizioni, requisite dai partigiani alle truppe naziste in ritirata». Angelo lascia la fila per andare in bagno, all’interno della casa: non lo vedranno più. Sono le 15.30 e la Casa del fascio salta in aria. C’è una prima esplosione, poi una seconda, violentissima, pochi istanti dopo. La deflagrazione investe in pieno la folla, con un boato infernale e una fiammata. «Maurizio e Severino scappano», prosegue Savio. «Angelo invece no, muore sul colpo, travolto dalle macerie in fiamme». Le vittime furono venti e non tutte di Cadoneghe: ci sono anche persone di Padova, Vigonza e un ragazzo di 14 anni, Roberto Bassani, che risiedeva ad Ancona.

causa sconosciuta

Non si saprà mai la vera causa dello scoppio: un incidente, qualcuno che per curiosità ha maneggiato incautamente le armi ammassate, forse il tentativo di eliminare documenti scomodi come gli elenchi dei padovani aderenti al fascismo. Quel giorno in piazza a festeggiare c’era anche Giuseppina, 22 anni, una delle sorelle di Maurizio, con in braccio il suo bambino, Franco: la donna da mesi non sa nulla del marito, Gastone Masin, mandato a combattere in Sicilia, poi a Trento, per finire prigioniero in un campo di lavoro a Norimberga. Le schegge che impazzano in seguito all’esplosione colpiscono Giuseppina al petto e per lei non c’è niente da fare. Anche il piccolo Franco, che aveva poco meno di 3 anni, venne colpito al fianco e a una spalla: rimase in coma un mese e di quella terribile esplosione porta con sé una scheggia ancora conficcata nella spalla sinistra e l’unico ricordo di un’enorme macchia di sangue in mezzo alla strada. Quando suo padre, finalmente, irriconoscibile da quanto è magro, a settembre torna a Cadoneghe, scopre che Giuseppina non c’è più.

matrimonio imposto

Le famiglie lo obbligheranno a sposare la sorella più piccola della moglie, Avelina detta Lina, sebbene lei sia fidanzata con un altro giovane. «C’erano regole non scritte contro le quali non si poteva andare», commenta Alberto Savio. Franco però la sua mamma non l’ha mai dimenticata: anche se vive a Bassano ogni anno torna sulla sua tomba, a portarle un fiore. —



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