La Befana non è il buttare, ma il conservare per capire la nostra evoluzione

Un’idea nuova di femminile, carica di positività e bellezza, che possa nel tempo mettere nelle nostre calze magiche la forza di pensare a nuovi riti

PADOVA. Epifania come rivelazione, Befana come sua declinazione (bifania-befaria): così si incrocia da millenni la visione pagana con quella cristiana. Da un lato la figura allegorica femminile, ma vecchia come l’anno che passa, il fuoco e i suoi riti propiziatori; dall’altro Epifania come rapresentazione del rivelato e del conosciuto, con i Re Magi che portano doni al Bambino sacro.

La calza e i suoi doni vengono in periodi successivi, ma non il bene e il male, il buono e il cattivo, chi sta dentro le regole e chi sta fuori; l’evoluzione dei doni che premiano il bene e condannano il male sta nel carbone o nei dolci, e tutto si incrocia nella strana figura della vecchia.

Possiamo ricordare le calze dell’infanzia, sospese tra camini, caminetti, stufe e qualsiasi cose dove si potesse appendere, adesso ancora presente ma arricchita e venduta nel grande business della magia delle feste.

Chissà se abbiamo aspettato e guardato il cielo per intravedere nei nostri sogni la vecchia sulla scopa, il simbolo di qualcosa che riguarda il mondo, quello vecchio, quello antico, e forse in quello di oggi potremo cercare la Befana come simbolo di una scopa che può pulire l’aria dal nostro inquinamento.

Ma anche il monito che agli uomini questa figura archetipica dovrebbe mandare carbone e ancora carbone, perché il mondo non è granché migliorato né ha risolto molte antiche criticità: la guerra, le armi, la violenza, l’indifferenza verso i più deboli.

La sofferenza è di sicuro in ogni piaga delle nostre città, non solo nel mare; quella che perfino in questi ultimi giorni di un anno che si è appena chiuso si porta una Befana stanca e oramai trasfigurata, come se i miti non riuscissero più a dare significato e immortalità a quello che è stato un indirizzo sul comportamento umano. E anche il femminile è ancora oltraggiato e traslato proprio nella figura che non riesce a darne un’identità diversa e migliore.

Se la Befana è il simbolo del transito e della continuità delle regole verso il bene, è anche interessante pensare che sia un femminile ancora oggi utilizzato come epiteto negativo e dispregiativo di un femminile che dovrebbe in realtà avere una simbologia solenne, perché dovrebbe la storia renderla ancora attuale e migliore.

È la riflessione quello che ci manca, perché la Befana non è il “buttare”, ma il conservare per capire la nostra evoluzione: allora sì potrà essere rappresentata da un’idea nuova di femminile, carica di positività e bellezza, che possa nel tempo mettere nelle nostre calze magiche la forza di pensare a nuovi riti e a nuove scope per pulire ciò che ancora non va.

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