La brutta reputazione di un comune diviso in un territorio infestato dai lupi

San Martino spaccato nel Trecento fra Padova e Treviso in mezzo il Vandura a fare da confine tra due mondi diversi 
BELLUCO-FOTOPIRAN-SAN MARTINO DI LUPARI-LOCALITA' LE MOTTE
BELLUCO-FOTOPIRAN-SAN MARTINO DI LUPARI-LOCALITA' LE MOTTE

francesco Jori

Come referenze, non è certo il massimo: “San Martìn, Tombolo e Galiera, gente da galera”. Tre paesi vicini accomunati in unico, tranciante giudizio nato da una voce di popolo peraltro appoggiata a concreti fatti: siamo agli inizi del Trecento, e quelle realtà unificate dal fatto di far capo alla pieve luparense si sono già fatte una fama micidiale in termini di sicurezza e ordine pubblico. Al punto che nel 1314 il podestà (l’equivalente dell’odierno sindaco) di Castelfranco scrive al suo collega di Cittadella che San Martino di Lupari è ormai ridotta a “spelunca latrorum”, insomma un covo di ladri. I fatti di cronaca che avallano un giudizio così drastico non mancano: giusto per citarne uno, un tale Rigetus ha rapito una certa Silvia, figlia di Stefano, e per questo è stato condannato alla decapitazione.

Ma in realtà alle spalle c’è un retroterra alimentato da una singolarissima situazione politico-amministrativa. A seguito delle aspre lotte di campanile tra padovani e trevigiani, e in particolare tra due vicine città fortificate come Castelfranco e Cittadella, il comune di San Martino di Lupari si è ritrovato vittima involontaria di uno dei tanti tentativi di pacificazione: il suo territorio è stato tagliato letteralmente in due, ponendo la parte maggiore (due terzi) sotto giurisdizione trevigiana, e quella rimanente sotto quella padovana; a far da confine tra le due zone, un muro d’acqua formato dal fiume Vandura. Così, di punto in bianco, la gente di uno stesso paese, e che oltretutto continua a frequentare la stessa unica chiesa (fattore molto rilevante, almeno a quell’epoca), si ritrova divisa in due fazioni, gli abitanti di San Martino “in Trevisana”, e quelli di San Martino “in Padovana”.

LE DUE FAZIONI

Se ad abituarsi ad andar d’accordo ci vuol tempo, per pestarsi i piedi si impara subito. Si formano rapidamente due opposte fazioni, che cominciano a farsi i dispetti a vicenda, con pesanti interventi delle due diverse autorità giudiziarie: come accade ad esempio nel 1365, quando otto persone della San Martino padovana e due di Cittadella vengono arrestate e condannate a essere sospese “per gulam” (in parole povere, impiccate) a causa di una serie di ruberie e violenze perpetrate nella parte trevigiana del paese. Non solo: siccome a quell’epoca essere di Padova o di Treviso significa appartenere a due Stati esteri, ecco che nello stesso paese si applicano, i qua e di là del Vandura, leggi, tasse, misure, monete, regole diverse. E in quel bailamme, ai delinquenti, ai disertori, ai ricercati dell’uno e dell’altro Stato basta guadare il fiume per ripararsi all’estero. Una situazione che durerà fino all’inizio dell’Ottocento prima che il comune venga riunificato; e anche allora la confusione non cessa, perché San Martino viene aggregato alla provincia di Vicenza, prima di tornare nel 1853 con quella di Padova.

IL VILLAGGIO FORTIFICATO

Queste vicende non devono tuttavia far dimenticare le remote radici del centro, con origini legate all’età del bronzo, e con successivo insediamento romano. Un passato che è anche fisicamente documentato dall’esistenza di un terrapieno di forma ovoidale, alto poco più di tre metri e con un chilometro di perimetro, traccia di un antichissimo insediamento umano, in pratica un villaggio fortificato eretto a suo tempo in mezzo alla pianura per proteggersi dalle tribù avversarie, ma anche dai lupi: presenti in forze in un’epoca in cui il territorio è fittamente popolato di boschi, al punto da contribuire a dare il nome al paese (luparium). Tutto intorno corrono un fossato colmo d’acqua, e una palizzata; all’interno si svolge la vita quotidiana della piccola comunità.

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