La Cina cerca la sua anima in Confucio

Nel saggio di Scarpari l’analisi di una società che vuole colmare il vuoto di valori
Di Enrico Tantucci

Non c’è che il “vecchio” Confucio con i suoi inossidabili principi di etica e di convivenza sociale, per dare un’anima al nuovo capitalismo globale della Cina, seconda potenza mondiale per prodotto interno lordo dopo gli Stati Uniti, ma in corsia di sorpasso.

È quello che teorizza un libro importante come “Ritorno a Confucio” (Il Mulino Saggi) di un illustre sinologo classico come il professor Maurizio Scarpari, ordinario a Ca’ Foscari, che verrà presentato lunedì prossimo alle 17.30 a Venezia nell’Aula Magna dell’Ateneo Veneto, dall’autore con Guido Samarani, Ignazio Musu e Paolo Calvetti. Un libro che coniuga appunto sapientemente economia e politica recenti di quel grande Paese con la filosofia/religione confuciana, prima combattuta da Mao e dalla Rivoluzione culturale ora nuovamente vista come strumento - ormai condiviso anche dal governo e dal nuovo Partito comunista cinese - per colmare il vuoto ideologico e il “male di vivere” che colpisce in tutti i suoi strati una società che sta diventando opulenta e globalizzata, conservando però ancora enormi squilibri sociali e un’assenza di valori. Il Confucianesimo, dunque, riscoperto anche come strumento di conservazione e allargamento del consenso da parte di chi governa oggi la Cina - a cominciare da uno dei cardini del suo pensiero, ricordati da Scarpari: «Un buon governo crea innanzitutto le condizioni materiali affinché ogni individuo possa dedicarsi a coltivare la propria persona intellettualmente e spiritualmente». Ma anche la riscoperta della famiglia, proprio nel momento storico in cui la Cina - spaventata anche dal progressivo invecchiamento demografico della sua popolazione - abbandona il diktat governativo del Figlio Unico. «L’amore per il prossimo è la qualità distintiva dell’uomo e l’affetto verso i familiari ne è la massima espressione», è del resto un altro dei principi ispiratori della dottrina di Confucio (vissuto tra il 551 e il 479 avanti Cristo) citato nel volume. Confucio è ricomparso sulla scena pubblica cinese come un esempio a cui ispirarsi parallelamente allo sviluppo delle riforme economiche lanciate da Deng Xiaoping nel dicembre 1978, circa due anni dopo la morte di Mao. E da allora, quasi in simbiosi con il “boom” economico e l’apertura a un sistema economico neoliberista, è diventato sempre più, con i suoi principi, una preziosa “stampella” a cui appoggiarsi, con investimenti sempre più importanti anche nel campo culturale e in quello della ricerca. Ma sempre sotto il controllo del Partito, e questo spiega perché - come riferisce Scarpari - il proliferare di Istituti Confucio agganciati alle università di tutto il mondo (Venezia compresa), assomigli spesso più a un’operazione di propaganda politica che di promozione culturale.

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