La fine del mondo? Tranquilli, è una delle tante

Il docente di Astronomia Leopoldo Benacchio ne ha contate quattromila. Tutte certificate
Di Aldo Comello

di Aldo Comello

Secondo la profezia Maya il mondo finirà domani alle 21.30. Così Leopoldo Benacchio, docente di Astronomia, ha tenuto ieri alla Specola di Padova, a dottorandi e ricercatori una divertita “lectio”, indubbiamente l’ultima, sulla catastrofe cosmica che distruggerà il nostro pianeta. Un excursus sulla stupidità collettiva, che fiorisce di secolo in secolo con previsioni nefaste fino ad arrivare ai giorni nostri, quando con il progresso scientifico assistiamo allo scatenamento di profezie fantastiche. Il professore, in questa ricerca, ha individuato almeno 4000 fini del mondo certificate.

C’è un pianeta, Nibiru, chiamato anche pianeta x, nascosto dietro il sole che uscirà di colpo come un babàu dalla sua scatola e si precipiterà dritto come un fuso sulla Terra. Una balla strepitosa secondo Benacchio, e anche secondo la Nasa: perché un pianeta non può essere più piccolo di 5 mila chilometri quadrati, altrimenti è un sasso, e inoltre si sarebbe visto. A proposito di sassi, secondo un sito della Cnn, poi rivelatosi fasullo, un meteorite grande come il Texas, cioè venti volte l’Italia, sta viaggiando a spaventosa velocità verso la Terra intenzionato a farne polpette, ma anche qui un coso di tali dimensioni in avvicinamento sarebbe stato notato.

In tutte le principali religioni il finis Terrae è previsto: per i Cristiani è la discesa del Figlio, la parusia del Cristo in Gloria e la sentenza del Cristo Giudice, l’Apocalisse insegna; ci sono affinità consistenti con la religione di Zoroastro; per altre fedi il mondo finirà quando le unioni omosessuali saranno ammesse e la corruzione e il meretricio si annideranno ovunque. E allora ci siamo, ce la siamo voluta. Anche i buddisti contemplano una loro fine del mondo ma non si sa che cosa accadrà.

Una profezia della scuola di Miller dei primi anni del secolo scorso prevede che il mondo si dissolverà quando un papa nero arriverà al soglio pontificio. Poi ci sono le complesse previsioni numerologiche tratte dalla Bibbia, dal talmud o addirittura dalla Cabala come quella di papa Innocenzo III per cui sommando un califfo al diavolo si ottiene il numero 1284 e sarà questo l’anno della fine del mondo. Rodolfo il Glabro, probabile seguace di “Kazzinger”, sosteneva nel nome del mille e non più mille che il 1033 (mille più l’età di Cristo) sarebbe stata la data della fine. Questa giungla profetica che per certe sette Usa raggiunge l’acme di 7-8 fini del mondo l’anno, magari condite da suicidi collettivi, in una sorta di sfiga cosmica, fa pensare che il germe del cupio dissolvi sia nel dna del genere umano.

Che il mondo alla fine sia un vuoto a perdere è scientificamente dimostrato: la Terra si scioglierà nel fuoco, a meno che i Maya non abbiano ragione, tra qualche miliardo di anni, quando il sole trasformato in stella gigante rossa esploderà nel cielo. Per Tommaso Campanella, scienziato e filosofo, il mondo si scioglierà come cera, fuso dalla caduta del sole.

Altre sorprese nella corsa a ostacoli del professor Benacchio: anche Cristoforo Colombo, navigatore, non digiuno di astronomia, era un . mistico e credeva nelle profezie catastrofiche, così un fisico del calibro di Newton. Quando negli anni della Belle Epoque la cometa di Halley incrocia la Tour Eiffel, si dice che dalla coda stilli veleno di cinabro, il cianuro di potassio, per cui vengono vendute a peso d’oro pillole anti-cianuro e il merchandising comincia a fondersi con la leggenda. C’è un romanzo di Shiel, “La nube purpurea”, in cui l’umanità è avvelenata da un nembo profumato di mandorla amara, ma è più un “day-after” perché restano un Adamo e un’Eva.

La conferenza si chiude con l’augurio di passare in letizia le ultime ore che ci separano dalla catastrofe, e con uno spezzone del film “Miracolo a Milano” (Zavattini-De Sica 1951): dalla città pietrificata i poveri fuggono verso il cielo a cavallo di una scopa e scompaiono tra le nuvole come uccelli usciti dalla gabbia.

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