La frattura a sinistra Craxi contro Berlinguer sul dissenso nell'Urss
Una ricerca di Valentine Lomellini indaga su un dibattito ancor oggi acceso, che influì sui destini di Pci e Psi

Una storia che non passa. Questo potrebbe essere il sottotitolo del volume di Valentine Lomellini, L'appuntamento mancato. La sinistra italiana e il dissenso nei regimi comunisti, 1968-1989, pubblicato nei Quaderni di Storia diretti da Fulvio Cammarano (Le Monnier, 21,40 euro) e presentato all'Archivio antico di Palazzo Bo qualche giorno fa. Le relazioni tra i comunisti e i socialisti italiani con il «Movimento del dissenso» nei Paesi dell'Est durante la Guerra Fredda sono ancora oggetto di aspro dibattito. E non solo storiografico, ma anche politico. La presentazione padovana del volume ne è stata la più chiara dimostrazione. Sotto la presidenza di Antonio Varsori, Giampietro Berti, Bruno Groppo e Francesco Leoncini hanno discusso con toni piuttosto accesi di un tema che, se è quasi sconosciuto ai giovani, ha animato il dibattito politico negli anni Settanta e Ottanta e che, anche oggi, tocca nervi scoperti della sensibilità di chi si occupa di politica. Il tema del confronto sul «dissenso dell'Est» è una questione che l'autrice utilizza sapientemente per mettere in rilievo le ragioni che hanno diviso la sinistra italiana nella Prima Repubblica. Una cesura, quella tra Pci e Psi, che ancora incide se si pensa che gli eredi del Pci (da Bersani a Veltroni) hanno fondato il Partito Democratico, mentre una parte significativa dell'entourage del Psi craxiano (da Cicchitto a Sacconi) è schierata con Silvio Berlusconi. Valentine Lomellini, 29 anni, - oggi assegnista di ricerca al dipartimento di Studi internazionali dell'Università di Padova - ha affrontato questo tema già nel corso della laurea specialistica conseguita alla Facoltà di Scienze politiche a Padova nel 2005, approfondendolo nel corso del dottorato in Political Systems and Institutional Changes allo IMT di Lucca, ed ottenendo per i suoi studi la Medaglia del Presidente della Repubblica. «Da subito mi sono resa conto che il tema del dissenso nei regimi comunisti era una questione aperta e irrisolta dell'identità della sinistra italiana. Un elemento di politica internazionale che molto poteva spiegare dell'intrinseca difficoltà di comunicazione tra i comunisti ed i socialisti italiani» spiega la giovane ricercatrice. «Per questa ragione, ho cercato di calarmi nel periodo senza cadere nella parzialità storica. La necessità di mantenere un occhio esterno per valutare le vicende della sinistra nostrana mi ha indotto a considerare un numero importante di fonti differenti. Alla raccolta e allo studio della documentazione archivistica, reperita in diciotto archivi in Italia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, ho associato lo spoglio di riviste e quotidiani dell'epoca nonché alcune interviste ai protagonisti del periodo».
Chi ha incontrato per ricostruire le vicende del periodo?
«Dirigenti dei due partiti nel corso degli anni Settanta, come Sergio Segre e Carlo Ripa di Meana. Ma anche ex dissidenti. Proprio Padova mi ha offerto l'occasione di conoscere Vladimir Bukovskij, nel corso della presentazione del suo volume nella città veneta. Ma anche Jiri Kosta, consigliere del ministro degli Esteri cecoslovacco Ota Sik. Un uomo incredibile: scampato ai campi di concentramento nazisti, poi dirigente della Primavera di Praga e poi nuovamente costretto all'esilio a causa della normalizzazione imposta dai carri armati sovietici dopo il 1968. Conoscere i protagonisti di quel periodo non ha solo arricchito il mio lavoro, ma mi ha arricchito come persona».
Per quale ragione il tema del dissenso dell'Est suscita ancora un dibattito così acceso tra gli storici e, più in generale, nel mondo politico? Alla presentazione abbiamo visto interventi molto accesi: sembrava che si dibattesse di Berlusconi e Bersani, più che del confronto Craxi-Berlinguer...
«Innanzitutto vorrei precisare che la discussione è il sale del confronto storiografico. Anche i numerosi studenti presenti al dibattito si sono sorpresi della passione politica che animava i relatori. In verità, questi confronti sono molto produttivi per due ragioni. In primis, perché consentono a diversi punti di vista di emergere e di interagire in modo critico. In secondo luogo, perché aiutano i più giovani a capire che il confronto è un aspetto importante della vita intellettuale e, soprattutto, che è un elemento positivo e non va evitato».
Ammetterà però che il dibattito alla presentazione è stato davvero molto acceso.
«Certamente. La ragione è presto detta: il tema del dissenso è una finestra che ho utilizzato per osservare da vicino alcune questioni identitarie legate ai due partiti considerati, il Pci e il Psi. Il tentativo è stato quello di partire da un elemento di politica internazionale (il dissenso e il comunismo sovietico) per comprendere le ragioni per le quali Pci e Psi non solo non trovarono un'intesa negli ultimi decenni della Guerra Fredda, ma furono protagonisti di una vera lacerazione della sinistra».
E perché Craxi e Berlinguer furono così antagonisti e avversari nel giudizio sul comunismo sovietico?
«Craxi era l'erede di Nenni, il leader socialista che compì la svolta del 1956 staccandosi da Mosca. Come vicesegretario sotto la leadership di De Martino, nei primi anni Settanta, tentò di ridare slancio alla corrente autonomista: la denuncia della repressione del dissenso nei regimi comunisti significava non solo smarcarsi nettamente dal Pci, ma anche prendere le distanze da De Martino stesso. Una volta assunta la segreteria del Psi, nel 1976, Craxi operò in favore dei dissidenti convinto che i regimi dell'Est europeo non fossero comunisti. E poi tentò di riequilibrare le forze in seno alla Sinistra italiana, caratterizzata dal predominio comunista». «Enrico Berlinguer, invece, alla guida del più forte e meglio organizzato Partito comunista del blocco occidentale, mantenne un atteggiamento altalenante nei confronti del dissenso sovietico. Da un lato, il leader sardo promosse un approccio più indipendente da Mosca, valorizzando il legame tra socialismo e democrazia; dall'altro, decise di non ufficializzare la politica di sostegno ai dissidenti del blocco orientale per evitare di inasprire le ragioni di contrapposizione con il Cremlino».
Una battaglia che sembra non finire: gli ex comunisti sono ora nel Pd, mentre parte degli ex socialisti sono confluiti nel Pdl. Era tutto già scritto?
«Il confronto degli anni Settanta e Ottanta ha certamente avuto un ruolo importante nella attuale ridefinizione delle identità partitiche della II Repubblica. Insomma, non è stata solo tangentopoli a cancellare i partiti che hanno varato la Costituzione».
Lei ha nuovi progetti per il futuro?
«Antonio Varsori ed io stiamo lavorando a un volume sulla storia delle relazioni politico-culturali tra il Partito comunista e gli Stati Uniti negli anni della segreteria Berlinguer. E' un altro tema storico con riflessi sull'attualità. Un ottimo esempio di come la ricerca storica non debba necessariamente rimanere materia per pochi eletti, ma possa essere oggetto di interesse anche per chi si interessa di storia e di politica».
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