La Maison Goupil in pieno Ottocento il business dell’arte

di Virginia Baradel
Non c’è italiano, almeno over quaranta, che non abbia visto un calendario, una scatola di bon bon, un portagioie della nonna con la riproduzione di una scena elegante dell’Ottocento: gaia o melodrammatica, in ogni caso piena di buon gusto borghese. Ebbene quel canone porta un nome: Adolphe Goupil, l’inventore del business dell’arte contemporanea nell’epoca della sua riproducibilità, con buona pace di Walter Benjamin. Ancora nel Novecento delle avanguardie e del razionalismo, il bon goût convenzionale era quello che Goupil aveva creato per la borghesia ottocentesca. Egli infatti non puntò solo all’originale, ma anche alla sua diffusione tramite le tecniche a stampa in rapida evoluzione.
Tutto incominciò a Parigi nel 1929 quando Adolphe, insieme al mercante tedesco Rittner, affiancò alla già fiorente attività di riproduzione di stampe antiche, le opere degli artisti che esponevano al Salon parigino. All’altezza della Scuola di Barbizon e dell’Impressionismo, cioè della nuova visione en plein air senza disegno, l’espansione della ditta era tale che Salon e fuori Salon non faceva più differenza: la scuderia Goupil trattava con i pittori più bravi e ferrati nel creare atmosfere, soggetti seducenti, interni deliziosi, visioni esotiche, paesaggi animati. Lavorarono con Goupil artisti italiani francesi, spagnoli, ungheresi. La Maison vendeva gli originali e pure le riproduzioni affinché tutti i ceti borghesi, dal banchiere al travet, potessero permettersi di condividere lo stesso diletto e formarsi lo stesso gusto. Di lui, della sua straordinaria impresa, del monopolio che mise in piedi inventando il mercato moderno, degli artisti che prese a contratto, parla la mostra davvero unica nel suo genere “La maison Goupil e l’Italia” che ha per sottotitolo “Il successo degli italiani a Parigi negli anni dell’Impressionismo”. Goupil apprezzava la buona pittura, la tavolozza ricca di effetti e l’intonazione teatrale: gli italiani erano quel che ci voleva. Essi infatti univano mestiere e sentimento e riuscivano ad incantare anche nel piccolo formato, adatto ai salotti della nuova borghesia rampante. A curare la mostra è Paolo Serafini, uno dei maggiori studiosi italiani dell’Ottocento, che da tre anni si divide tra il Museo Goupil di Bordeaux e il Getty Research Institute di Los Angeles dove è conservato l’archivio Goupil, per ricostruire meticolosamente la storia della Maison, la complessità dei rapporti tra la casa madre e le sedi all’estero (Londra, New York, Aja, Berlino, Vienna, Bruxelles) e tra Adolphe e gli artisti collegati. Lettere di solleciti, istruzioni, consigli, ammonimenti. Contratti e libri contabili con pagamenti, percentuali e vendite. In tal modo Serafini è riuscito a rintracciare dipinti mai più riapparsi in pubblico dal momento della vendita, regolarmente segnata nei registri compulsati.
Ad esempio nella sezione dedicata a Boldini ci sono alcuni capolavori come Indolence, Confidence, Martha Regnier scovati in collezioni private americane che, in aggiunta, sono esposti insieme alle fotoincisioni destinate alla ripr. oduzione. L’apripista di un centinaio di italiani passati nei registri della Galleria, fu De Nittis di cui il mercante comprò subito dei quadri ma poi pretese l’esclusiva che il pittore gli concesse solo per due anni dal 1972 al 1974. De Nittis era l’ideale per il gusto e gli affari del mercante: la narrazione ricca e movimentata, gli audaci tagli prospettici, i dettagli gustosi e la vivacità cromatica ne garantivano il successo. Fu a quel tempo, nei primi anni settanta, che la ditta Goupil aprì grandiose gallerie destinando un intero palazzo in rue Chapel e altri spazi davanti all’Opera alla sola esposizione. In verità Goupil aveva anche dei feroci concorrenti. Esemplare è il caso di Francesco Paolo Michetti che partecipa al Salon del 1872 e viene subito preso a contratto dal mercante Reutlinger. Goupil riesce comunque a comprare dei quadri e li riproduce suscitando le ire del concorrente. Il suo fiuto puntava sulla frivolezza femminile quanto sui sentimenti forti, tanto da innamorarsi a prima vista de La figlia di Jairo di Domenico Morelli, altro nome che figura nei registri del mercante. Un quadro che divenne una specie di manifesto della ditta fu Enfin….seuls! di Edoardo Tofano: due sposi si abbracciano a fine giornata con struggente stanchezza che è anche languido preludio.
Per un pittore italiano di valore era quasi impossibile andare a Parigi e non cascare nella rete della più celebre maison d’arte al mondo. Anche Vittorio Corcos passò per quei registri e Antonio Mancini cui è dedicata una piccola personale con la magnifica serie dei Saltimbanchi riuniti insieme per la prima volta e in cui farà gran mostra di sé il Saltimbanco con la piuma di pavone del Museo di Filadelfia.
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova