«La mia Erica uccisa due volte. Ci hanno negato giustizia e soldi»

Silvana, madre della ragazza uccisa nel 2012 a Padova da Paolo Rao: «Cresco mia nipote, questo mi dà la forza di andare avanti»
Nonna Silvana con la nipotina il giorno della Prima Comunione
Nonna Silvana con la nipotina il giorno della Prima Comunione

PADOVA. La bambina bionda con il pigiama rosa e i piedini scalzi, sette anni dopo, frequenta la quinta elementare e ha smesso di dire che le manca mamma. Ogni tanto tra le macerie possono nascere anche i fiori e c’è qualcuno che quello stelo e quei petali li ha annaffiati e accarezzati e curati ogni giorno, dopo quel maledetto 7 ottobre 2012. Silvana Bevilacqua oggi ha 65 anni. È la madre di Erica Ferazza, massacrata a coltellate dal compagno Paolo Rao il giorno prima del suo ventottesimo compleanno. Si è dovuta reinventare mamma per crescere un’orfana a cui raccontare, prima o poi, una verità atroce. «Dopo sette anni posso dire che mia figlia Erica l’hanno uccisa due volte. Il suo assassino non si è fatto un giorno di carcere e la sua famiglia non ha risarcito né me, né la nipote».

La piccola bambina, figlia di Erica, in braccio a una poliziotta dopo la tragedia
La piccola bambina, figlia di Erica, in braccio a una poliziotta dopo la tragedia


Non siete stati risarciti per la barbara uccisione di Erica?

«Dopo due anni dal delitto siamo riusciti a ottenere 250 euro al mese per il mantenimento di mia nipote, che vive con me, qui in provincia di Varese. Mi sono dovuta sobbarcare persino le spese di pulizia dell’appartamento di via Canestrini: 4 mila euro per lavare il sangue di mia figlia, rimasto dappertutto».

Ma la trafila giudiziaria si è chiusa? Non vi siete opposti in qualche modo?

«Ho speso 80 mila euro di spese legali, non ne posso più di tribunali. Io ho una bambina da crescere, lei è il mio unico pensiero adesso».

Paolo Rao ed Erica Ferazza
Paolo Rao ed Erica Ferazza


Com’è la vostra vita sette anni dopo?

«A volte penso al destino. Erica era rimasta orfana di suo padre all’età di tre anni. Era il 1987, non c’era l’obbligo del casco. Mio marito andò al lavoro in motorino, fece un incidente, morì per un trauma cranico. Ancora una volta mi ritrovo a dover spiegare a una bambina come mai non ci sono i suoi genitori».

Ricorda il giorno in cui Erica è stata uccisa?

«Ricordo come fosse ieri. Era una domenica. Il mio compagno, morto quattro anni fa, compiva 60 anni. Stavamo per metterci a tavola per il pranzo. Arriva una telefonata, i carabinieri: “Signora, è successo un incidente a Padova. Deve andare lì in caserma”. Chiesi subito se la bambina stava bene. Loro mi dissero sì, la bambina sta bene, sono i genitori il problema. Pensai che, forse, era successo un incidente sui colli. Mi misi in macchina in direzione di Padova. Seppi cos’era successo molto prima di arrivare. Me lo dissero i parenti padovani al telefono».

Come stava Erica in quel periodo?

«Si era laureata in Psicologia a Padova nel 2009. Aveva trovato lavoro e amore. È diventata mamma poco prima di laurearsi. In quel periodo le cose con Paolo non andavano bene. Le dicevo: torna qui da me. Ma la sua risposta era sempre la stessa: “Non voglio che mia figlia rimanga senza padre a tre anni come è successo a me”. L’8 ottobre, il giorno dopo la sua morte, avrebbe compiuto 28 anni. In frigo c’erano la torta, i pasticcini, le bibite».

Come sta la bambina?

«Sa tutto e cresce con il suo fardello sulle spalle. Per molti anni ha avuto paura del suo lettino. Quando mi hanno spiegato la dinamica ho capito il motivo. Quella mattina Erica si era alzata verso le 6.40 perché la bimba si era svegliata e l’aveva chiamata in cameretta. Mia figlia era china sul lettino, la stava consolando quando quell’individuo, sì voglio chiamarlo individuo, l’ha accoltellata alla schiena perforandole un polmone. L’ha presa a tradimento e lei, anche se piccolina, ha visto tutto. Si è sporcata con il sangue della sua mamma».

Quali sentimenti prova nei confronti di quell’uomo e della sua famiglia?

«Posso dire soltanto che non vedrà più suo padre, almeno fino a che non avrà 18 anni. Mi fa male pensare che si poteva evitare, che una scappatoia forse c’era».

Cosa intende?

«Un anno prima del massacro, a Marina di Bibbona, in vacanza, avevamo capito tutti che Paolo aveva dei problemi. Eravamo a cena. Mia nipote era sul seggiolone vicino a lui ma tirava vento. Abbiamo deciso di spostarla per evitare che prendesse freddo. Lui si alzò di scatto con un coltello, tentò di colpirla alla gola. Erica riuscì a frapporsi. C’era anche Fortunato quella sera. Disse che ci avrebbe pensato lui a curarlo. Purtroppo Paolo non si curò mai».

Dice che si poteva prevedere una fine simile?

«Non so se si potesse prevedere. So solo che nei giorni successivi al delitto i genitori di Paolo mi ospitarono nella loro casa di San Giorgio delle Pertiche. Dormivo nella camera che usavano Erica e Paolo. In un cassetto trovai due coltelli da cucina. Lui aveva deciso: uno era per Erica e uno per la sua bambina».

Sua nipote chiede mai della madre?

«I primi anni successivi alla sua morte diceva sempre che le mancava. Ora, invece, a volte dice che vorrebbe una macchina del tempo per tornare indietro e rivederla».

E del padre?

«Mi chiede se riuscirò mai a perdonarlo e la mia risposta è sempre la stessa: no, non potrei mai perdonarlo perché ha distrutto tutto».

Qual è il ricordo più bello che conserva di Erica?

«Mi diceva: mamma non ti preoccupare, quando invecchierai e avrai bisogno di aiuto io sarò accanto a te. Guardo questa bambina e penso che sia un dono grande: l’eredità che mi ha lasciato mia figlia».

Di nuovo il 7 ottobre, sette anni sono passati. Ci sarà una messa?

«No, ho deciso che la messa la faccio l’8 (oggi). Per il primo anno voglio ricordare Erica nel giorno del suo compleanno, non della sua morte». —


 

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