LA MOSTRA / Pietro Bembo, il letterato che resuscitò la classicità

PADOVA. "Pietro Bembo e l'invenzione del Rinascimento” è molto più di una mostra. E' una specie di rappresentazione teatrale che mette in scena la singolare grandezza di un padre nobile del Rinascimento. I prim'attori sono le opere d'arte di cui il Nostro amava circondarsi non per vanità, ma per amore di scienza e di bellezza. Concetti che stanno alla base del Rinascimento, per il quale l’opera d’arte è espressione di un’umanità ideale che prende a modello la classicità romana. Se Michelangelo e Raffaello furono gli alfieri del recupero dell’antico sotto moderne spoglie; se la potenza dell'uno e l'armonia dell’altro avevano ridato sangue e anima alla bellezza greco-romana meritandosi la stima incondizionata di Pietro Bembo, Tiziano fu l’artista conterraneo a lui più caro, per grandezza e per amor di verità.
Per la famiglia Bembo Tiziano dipinse intorno al 1513 Tobiolo e l’Angelo, struggente per le note di tenerezza e per il crepitare di colori dorati. Ma a Venezia la grazia del naturalismo venne alla ribalta con il Gi. ambellino che infuse umana soavità delle sue Madonne con Bambino come nel tondo in mostra a Padova. Al tempo della corte di Caterina Cornaro ad Asolo, quando il dotto petrarchista decise che si sarebbe dato interamente alle lettere e non alla diplomazia, poesia e musica dettavano le ore, il conversare dotto era stile di vita e gli umanissimi piaceri erano nettare da assaporare senza riserve. Nella reggia asolana che per Caterina doveva compensare la perdita di Cipro, l’artista eletto era Giorgione. Con lui il ritratto divenne immagine dell’interiorità del soggetto, non del rango o delle pubbliche virtù, ma della sua intima sensibilità sorretta dall’afflato poetico e venata di mestizia come nei quattro eccellenti esempi esposti in mostra e come si nota nello sguardo malinconico e quasi di rimprovero del giovinetto Francesco Maria della Rovere gravato dal gigantesco elmo lucente che tiene tra le mani.
La maturità della stagione romana vide il Bembo vibrare per il Michelangelo della Sistina, ma dimostrare maggior affinità col divino Raffaello. Con l’urbinate, già frequentato alla corte dei Montefeltro al tempo di Baldassarre Castiglione, l’aurea armonia s'incarnava nella pittura. Avevano certo di che discutere e approfondire i due, mentre Raffaello affrescava le Stanze vaticane: la Disputa del Sacramento, la Scuola d'Atene, il Parnaso, Le Virtù e le Leggi erano temi capitali che impegnavano fede e intelletto, non meno che il ruolo del disegno, della prospettiva e dei colori con cui avrebbero dovuto manifestarsi alla dottrina della fede e all'esigente corte papale. Raffaello dipinse anche il doppio ritratto di due amici comuni Navagero e Beazzano, insieme ai quali visitarono Tivoli beandosi delle memorie della villa di Adriano. Non dimentichiamo che Bembo aveva nella sua collezione la sublime testa di Antinoo, il favorito dell’imperatore. Di mano di Raffaello sono anche i cartoni per gli arazzi progettati per la Cappella Sistina e realizzati dalla manifattura fiamminga di Pietre van Aelst. La Conversione di Saulo è un vero capolavoro: il colpo di teatro della caduta e delle simultanea conversione, è reso come un fermo immagine che blocca il dinamismo in corso impresso nelle vesti svolazzanti, mentre colori e prospettiva pervadono di luce la scena. Il classicismo, mitologia compresa, era intriso di paganesimo. E nessuno più del Bembo poteva valutare la cosa con cognizione di causa ben conoscendo i piaceri della carne non meno di quelli dello spirito. Fu lui a suggerire a Raffaello la decorazione del bagno privato del cardinal Bibbiena con scene mitologiche legate a Venere di cui sono testimonianza i due satiri della celebre Stufetta presenti in mostra. Amore per le antichità e amor profano, erudizione ed erotismo convivevano in una perfetta impaginazione romana ispirata alla Domus Aurea di Nerone che tanta parte aveva avuto nel dare forma alle emozioni antiquarie degli artisti del Rinascimento. I massimi tra costoro, per arte e cultura, avevano in Bembo un interlocutore perfetto, un consigliere pregiato che conosceva i segreti delle antichità d'arte avendone dimestichezza nella sua collezione privata.
Bembo sentiva la bellezza come un rabdomante sente l'acqua: la sua cognizione dell’arte era una specie di percezione globale, interna ed esterna, allenata alla perfezione. Ma c'è qualcosa che va oltre la perfezione ed è la verità, come quella del corpo che invecchiando smagrisce le carni, mentre aumenta la statura morale. Il ritratto che Tiziano fa al Bembo e gli dona quando viene nominato cardinale, possiede la speciale bellezza della nobiltà interiore. La vecchiaia e il prestigio hanno affinato la sua autorità. Eretto, sicuro di sé, eppure umanissimo nel volto ossuto e la pelle scurita dagli anni. La fronte alta e spaziosa è, anche simbolicamente, il punto luce del ritratto, le tempie pulsano, lo sguardo è diretto e penetrante. La torsione della testa anima la posa, come il gesto della mano che, in direzione opposta, accompagna l'argomentare. La mantellina di damasco non occulta le pieghe della cura domestica del capo. È un vezzo di realismo cui Tiziano non rinuncia mai. Questo ritratto fu molto gradito al Bembo che si prodigò affinché l'auspicata discesa di Tiziano a Roma diventasse un evento. Paolo III lo accolse con tutti gli onori che il doge della pittura veneziana ricambiò con memorabili ritratti.
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