La pasionaria con la chitarra è sempre lei, Joan Baez

PIAZZOLA SUL BRENTA. La sciarpa rossa di Joan Baez incanta il grigio Nordest, in una serata da favola fatta di ricordi e speranze per il futuro. Davanti alla splendida cornice di villa Contarini a Piazzola sul Brenta, ad aprire l’Hydrogen Festival, l'usignolo di Woodstock ha dato voce agli inni di una generazione. Elegante e gentile, Joan Baez, si è presentata sola sul palco, ha imbracciato la sua chitarra e come se il tempo delle lotte per i diritti civili non fosse mai passato ha iniziato intonando “God is God” di Steve Earle.
Mentre la musa del folk pizzica con grazia le corde della sua chitarra acustica e canta, di fianco al palco sorge poco a poco una luna piena che renderà tutto ancora più magico per i duemila spettatori. Solo voce e chitarra anche per “Be not too hard” e “Farewell Angelina”, canzoni che Joan Baez introduce spiegandone con poche parole il significato in italiano. Con “Lily of the west” si entra nel vivo della tradizione folk americana, e si affiancano anche i due ottimi strumentisti Dirk Powell e Gabriel Harris. La cantante ringrazia ripetutamente «per il magnifico posto ed il magnifico pubblico».
Dai posti a sedere si alzano applausi sinceri, ancora un po' timidi prima del gran finale. Tra i presenti l'età media è piuttosto alta, molti tra i presenti hanno a casa le collezioni dei suoi vinili; il fervore delle contestazioni sembra distante anni luce, ma sul palco Joan Baez è ancora la pasionaria di sempre. Ha 71 anni e non ha mai smesso di lottare, ricorda il coraggio dei giovani che si sono battuti nella primavera araba: «dovremmo imparare da loro e prenderci qualche rischio». È rimasta così fieramente hippy da decidere di allentare la morsa del caldo con un bagno pomeridiano nel Brenta prima del live. Questo almeno stando ai retroscena raccontati nel blog della roadie Grace Stumberg sul sito internet dell'artista americana.
Dopo “Scarlet Tide” di Elvis Costello è arrivato anche il momento dedicato a un ideale ricongiungimento con Bob Dylan. “With God on our Side” e “It's All Over Now Baby Blue” sono le canzoni di protesta che hanno contribuito a costruire il mito della loro coppia musicalmente inossidabile.
Sul palco, allestito come un salotto, prima di intonare “Swing Low, Sweet chariot” Joan Baez spiega: «Questa canzone l'ho cantata davanti a Martin Luther King, a Lech Walesa, a mia mamma. E ora la canto a voi» si interrompe e poi conclude: «L'ho cantata anche a Woodstock».
Dopo il pregevole cameo gitano e spagnoleggiante in compagnia della bravissima Marianne Aya Omac, cantante e chitarrista, arriva il momento dei grandi classici: “Suzanne” (di Leonard Cohen), “Un mondo d'amore”, “C'era un ragazzo” (cantate tutte in italiano), “Imagine” (trasformata al plurale “we are dreamers”), “Blowing in the Wind” fanno impazzire il pubblico. Aspettando che, come auspicato dalla stessa Baez, arrivi presto qualcuno a scrivere gli inni delle prossime battaglie.
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