La Patavium romana, ecco il "gladiatore giocattolo" trovato in città

Il gladiatore Aureus, il severo Tito Livio e le allegre matrone padovane: la storia dei combattenti nell'Arena romana che all'epoca erano come i calciatori di oggi

PADOVA. Teatro Zairo e Arena agli Eremitani, i due cuori della Patavium ludens (e opulentissima stando allo storico Strabone) all’epoca dell’impero romano, ai tempi di “Livius Noster” del quale ricorre il bimillenario della morte. L’autore di “Ab urbe condita” in 142 libri (ne sono rimasti circa 40 comunque bastanti a riempire di spassose versioni gli studenti classici) sulla storia di Roma dalla fondazione, severo e austero, si era trasferito alla corte di Augusto ma a Padova tornava e a Padova morì.

Sangue, sudore e tifo da stadio. Certo Livio avrà frequentato il teatro Zairo, luogo di cultura, di riti religiosi e palcoscenico per commedie e tragedie, ma chissà se con la sua candida toga avrà mai messo piede nell’Arena dei ludi gladiatorii, roba da stomaci forti e un tantino plebei, sangue e sudore, tifo da stadio, fiere contro uomini o uomini contro uomini. Se Tito si può supporre se la tirasse da intellettuale, insomma non fosse tipo da panem et circenses, i patavini invece affollavano l’Arena, arrivando su carri e carretti con le famiglie al completo. Tanto importante era la città, tanto rinomati erano l’Arena e i suoi gladiatori: di certo Patavium ospitava anche l’accademia per l’addestramento dei gladiatori, che erano divisi in un’enormità di classi a seconda della specializzazione. Non si sa dove fosse, magari salterà fuori durante qualche scavo, ma c’era. E ospitava anche il serraglio per i felini o i cinghiali da combattimento.

Corteggiati dalle matrone. Giovani schiavi, liberti o anche solo ambiziosi in cerca di gloria e sesterzi passavano anni ad allenarsi ai combattimenti, sottoposti a disciplina militare. In cambio, e se gli dei li proteggevano, diventavano famosi, ricchi, conquistavano la libertà se schiavi, ed erano corteggiati dalle pur pudiche donne patavine. Se poi il loro nome correva giù per la via Annia e rimbalzava a Roma, venivano chiamati nell’urbe dove le sofisticate matrone si davano di gomito e di sussurro nell’ammirarli, muscolosi e tutti oliati, combattere al Colosseo. Giusto per fare gossip, a Pompei c’è un graffito nel quale una signora romana dichiara con impeto la sua passione per un gladiatore. Con grande irritazione di Seneca che un die mise il naso dentro un’arena durante lo “show” e ne uscì scandalizzato e disgustato per le scene di violenza e di morte.

In migliaia all’Arena. Tornando a Padova, l’Arena ad anfiteatro a pianta ellittica, costruita nel primo decennio dopo Cristo, in occasione dei combattimenti era presa d’assalto da migliaia di spettatori che entravano dalla Porta Triumphalis, verso corso del Popolo; verso via Porciglia c’era un’altra Porta, la Libitinensis, da Libitina dea dei funerali: da lì portavano fuori i gladiatori a brandelli senza passare in mezzo al pubblico. Pubblico che peraltro aveva appena assistito con entusiasmo al loro smembramento da furore felino o affettamento da spada, lancia o gladio. Ma tant’è, si usava così.

Da Aureus al pibe de oro. Diventavano divi i gladiatori, scalavano i gradini della fama a rapidi passi anche perché non campavano a lungo. Va ricordata la stele, ritrovata sotto piazzetta Pedrocchi, che nel III secolo la schiava ventenne Purricina fece erigere sulla tomba dell’amatissimo marito Iuvenis, morto a 21 anni, gli ultimi quattro trascorsi nel ludus gladiatorius, la caserma per l’addestramento: era al suo quinto combattimento come provocator (una delle specialità della categoria) quando fu ucciso nell’Arena padovana. Per lei, niente pensione di reversibilità al massimo un sacchetto di sesterzi di indennizzo. «Era esattamente come è oggi il mondo del calcio» spiega Francesca Veronese, archeologa del Museo Civico-archeologico Eremitani diretto da Davide Banzato; «Lo stesso tifo, i gladiatori come star. Maradona era el pibe de oro? Beh, uno tra i più noti gladiatori del mondo romano era chiamato Aureus». E, proprio come nel mondo del calcio, un florido mercato cresceva attorno all’Arena e ai divi combattenti. Ne dà testimonianza il meraviglioso soldatino-gladiatore in terracotta, con elmo staccabile come un Playmobil, esposto in una vetrina nuova al museo Eremitani (finanziata dall’associazione Amici del giardinaggio). Genitori in lacrime misero quel soldatino nella tomba, trovata in corso Vittorio Emanuele, del loro piccolino.

Un bimbo molto amato. «Dagli esami è emerso che il bambino aveva tre anni e aveva ossa e denti sani» spiega Elena Pettenò, responsabile di Padova per la Sovrintendenza archeologia e belle arti; «È un ritrovamento fuori dagli schemi perché in età romana i bambini entravano nella compagine sociale dopo i 14 anni. Doveva essere un figlio molto amato, di una famiglia di rango. Nella sua tomba c’erano oggetti di pregio, vasi, l’obolo di Caronte (moneta sistemata sulla bocca del defunto per il tributo al traghettatore) e la testa era poggiata su un cuscino, lo si è capito dalla posizione del collo. E poi quel soldatino-gladiatore a fargli compagnia nella morte: in origine colorato, con l’elmo rimovibile, le braccia snodate e nelle mani l’invito adatto a qualche arma per il combattimento». Un giocattolo, un’attualissima storia privata di duemila anni fa, uno scorcio sul mondo antico. Così vicino, così lontano. Meraviglie di Padova archeologica.
 

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