«La rete solidale dei volontari diventi un modello di welfare»

Un’altra città è possibile, i tre mesi del lockdown l’hanno dimostrato. È una città solidale, che ha cura di chi non ce la fa, dove le parole “comunità”, “responsabilità” e “solidarietà” escono dagli slogan e diventano pratiche. È una città capace di organizzarsi e in cui le sue risorse fanno rete, trasformando il nome di un progetto - “Per Padova noi ci siamo” - in azioni tangibili: raccolte fondi, distribuzione di alimenti, lavoro, servizi, assistenza.
la proposta
È questa la città che ora in tanti vorrebbero conservare, al di là dell’emergenza sanitaria. Dopo la proposta del presidente del Csv Alecci (un tavolo di coordinamento che immagini nuove forme di welfare), subito accolta dal presidente della Camera di Commercio Santocono, ora sono le associazioni a proporre un’assemblea delle associazioni e dei volontari, per costruire dal basso un nuovo modello di welfare.Officina Sociale, Adl Cobas, Polisportiva San Precario e Quadrato Meticcio hanno pubblicato un documento che promuove le buone pratiche con cui Padova ha reagito alla pandemia e chiede di considerarle come un modello da cui ripartire.
le valutazioni
«Per tre mesi e iniziando da zero, senza alcuna base di partenza, Padova è stata laboratorio effettivo di un modello di welfare assolutamente inedito, che ha avuto come ossatura le realtà sociali di base, associazioni o gruppi informali, che hanno fornito referenti operativi, basi logistiche, ma soprattutto il “saper fare” che deriva dalle piccole azioni a margine delle nostre attività ricreative, sportive, culturali», si legge nel documento. «Noi per Padova ci siamo sempre stati e non smetteremo certo adesso: vogliamo fare meglio, vogliamo fare di più». A tutti i protagonisti di questo periodo anomalo, faticoso ma anche esaltante, le associazioni chiedono «uno slancio per continuare ad essere all’altezza del ruolo che abbiamo ricoperto».
da dove cominciare
Riconoscere il titolo d’uso di certe sedi, dove manca; strutturare convenzioni per abbattere i costi delle utenze; progettare interventi strutturali. Questi possono essere i primi passi per «garantire l’ossatura del welfare in città». Sarebbe sbagliato, si fa notare nel documento, considerare finita l’emergenza. «Il problema del reddito esploderà d’estate», si sottolinea. «E nei prossimi mesi migliaia di persone non saranno più in grado di pagare l’affitto. Ma in città ci sono 4 mila appartamenti sfitti». Progetti di autorecupero sono possibili. Così come è possibile rafforzare le reti che hanno funzionato così bene per contrastare la fame di chi si è trovato senza niente. «Il blocco delle attività ha fatto esplodere una bomba sociale, rimasta sottotraccia perché c’è chi si vergogna a chiedere aiuto».
«non siamo manodopera»
Se c’è una certezza, è che il volontariato che ha tenuto la bandiera della solidarietà non intende prestarsi ad altri ruoli di manovalanza gratuita, né tantomeno da assistenti civici per far rispettare il distanziamento. «L’attivazione volontaria di cui siamo parte», si legge nel docuimento, è una presa in carico di responsabilità in seno alla comunità, un atto di cura verso tutte e tutti noi». Inoltre, «noi scegliamo di agire solo dove riscontriamo la possibilità di fortificare i legami sociali nel territorio, mai per supplire a mancanze istituzionali. Rigettiamo dunque alla radice il senso del “volontariato” come azione salvifica, e inorridiamo davanti alla richiesta di agire per il “distanziamento sociale”. La conclusione: «Padova dispone di una ricchezza incommensurabile, forse non ne siamo mai pienamente coscienti perché questa ricchezza si manifesta solo quando una enorme disponibilità di massa, in silenzio e a testa china, si adopera per supplire alle carenze strutturali di un sistema di welfare martoriato da trent’anni di privatizzazioni e disinvestimento. Mettere reciprocamente a disposizione capacità, saperi, strutture e finanziamenti è possibile. Padova ha dimostrato a sé stessa che sa come fare a non lasciare indietro nessuno, ma può fare molto di più, quando impara a dire “noi”». —
cric
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