La terra longobarda devota a San Giorgio che issava pertiche in onore dei caduti

francesco jori
Si vede che ci tenevano proprio, a far sapere che lì c’era l’impronta loro. Se c’è un paese che dichiara fin dal nome la propria matrice longobarda, questo è decisamente San Giorgio delle Pertiche: nella prima parte, perché San Giorgio assieme a San Michele era il celeste riferimento preferito di questa popolazione calata in Veneto tra la fine del 500 e l’inizio del 600 dopo Cristo, dopo il tracollo dell’impero romano; e pure nella seconda, perché le pertiche hanno un ruolo particolare nella liturgia funebre dei longobardi, come ci informa il loro più autorevole storico Paolo Diacono, riferendosi a lunghe aste sormontate da una colomba, issate sul terreno per venerare i loro caduti in terre lontane.
C’è anche chi sostiene, peraltro, che in realtà le pertiche che compaiono nella denominazione del paese si colleghino a un’unità di misura romana. Di sicuro c’è che i romani qui ci sono stati, e in maniera robusta, dal momento che il territorio comunale rientrava nella centuriazione, l’ampia operazione fondiaria attuata sotto l’impero di Augusto per assegnare terreni coltivabili ai reduci di guerra. L’area di San Giorgio delle Pertiche, in effetti, si trova all’incrocio tra le due grandi direttrici dell’urbanizzazione romana: il cardo in direzione sud-nord, corrispondente al tracciato dell’allora Aurelia che collega Patavium-Padova con il già importante e strategico centro di Acelum-Asolo (l’odierna statale del Santo); e il decumano in direzione est-ovest, che in dialetto diventa “desman”, non a caso trasformato col tempo anche in cognome di famiglia. Numerosi ritrovamenti di mattoni, vasi, tegole e pesi di telaio documentano il radicamento di Roma nel territorio.
I primi statuti
Dopo il lungo e drammatico intermezzo dei barbari, il paese riparte da un testamento, quello redatto agli inizi del 1100 da un certo Milone di Giovanni Ponga, in cui per la prima volta compare il nome per esteso di San Giorgio delle Pertiche. Da rilevare che gli statuti redatti dalla comunità risultano tra i primi a essere elaborati nell’intero Padovano. Il territorio comunale è da subito sotto la giurisdizione ecclesiastica di Padova, il cui vescovo – essendo uomo anche pratico – considerando i tempi vi fa costruire un castello fortificato con a fianco un palazzo dominicale: di quel complesso, distrutto all’inizio della dominazione veneziana nel Quattrocento, è rimasta oggi solo la torre, riciclata in campanile della chiesa di San Giorgio.
edifici ammirevoli
Una chiesa che acquisisce quasi subito notevole importanza, quest’ultima, se si considera che già all’inizio del Duecento ha assunto il ruolo di pieve, cioè sede con fonte battesimale e dalla quale dipendono altre realtà ecclesiali: una decima papale del 1297 le attribuisce in particolare quelle di Campodarsego, Arsego, Santa Giustina in Colle, Fratte e Santa Maria di Panigale. Nel Seicento si arricchirà di un’imponente casa canonica, per la quale il parroco riceverà i complimenti da un ospite di eccezione, il vescovo Gregorio Barbarigo impegnato nella visita pastorale. Nella prima metà del Settecento l’ex torre viene sopraelevata per adattarla a campanile, e di nuovo sono complimenti d’autore per il parroco: stavolta a farli a quello di turno è nel 1744 un cardinale, Carlo Rezzonico, all’epoca vescovo di Padova, e che una quindicina di anni dopo diventerà papa col nome di Clemente XIII.
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