La vita ritrovata di Sharbat In due foto, a 12 e 29 anni

ROMA
L’immagine della ragazza afgana dai bellissimi occhi verdi spaventati, da decenni icona assoluta della fotografia, è solo uno degli scatti in mostra da oggi negli spazi della Pelanda al Macro-Testaccio per la grande rassegna dedicata a Steve McCurry. Esposti oltre 200 scatti del maestro della fotografia, più volte vincitore del World Press Photo Awards.
La mostra è stata curata da Fabio Novembre, che ha selezionato le foto cercando i fili comuni e i legami che, sorprendentemente, accomunano luoghi e persone situati anche a latitudini diverse. L’allestimento è pensato come un villaggio nomade, cercando di restituire all’ambientazione quel senso di umanità che si respira nelle foto di McCurry.
Un percorso espositivo costellato da foto famosissime, scattate nel corso degli oltre 30 anni della sua straordinaria carriera di fotografo e reporter, affiancate per la prima volta dai suoi lavori più recenti, realizzati tra il 2009 e il 2011.
Il progetto «the last roll» con 32 immagini scattate in giro per il mondo utilizzando l’ultimo rullino prodotto dalla Kodak, gli ultimi viaggi in Thailandia e in Birmania, con una spettacolare serie di immagini dedicate al Buddismo, per finire con un lavoro inedito su Cuba. Al Macro-Pelanda è stata inoltre ricostruita l’intera storia della ragazza afgana.
Scattata nel 1984 e successivamente pubblicata sulla copertina della rivista National Geographic Magazine (giugno 1985), l’immagine è infatti diventata un simbolo dei conflitti afgani degli anni ottanta. La foto, scattata in un campo profughi di Peshawar, ritrae l’orfana dodicenne Sharbat Gula, che nel 2002 il fotografo (con il sostegno del National Geographic) tornò a cercare per scoprire se la ragazza era ancora viva. Sharbat Gula fu ritrovata dopo alcuni mesi di ricerche, e McCurry ha potuto così fotografarla nuovamente, a distanza di 17 anni. Decisamente diversa.
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