L’addio a Lorenzo Contri fu il primo volontario in carcere

In tanti ieri mattina ai funerali nella chiesa di Sant’Antonino. Il professore aveva 91 anni Il figlio Vincenzo: «Ci ha insegnato il bene e il male». Quella volta che portò i detenuti a casa
Di Stefano Volpe

La chiesa di Sant’Antonino ieri mattina era gremita per un funerale. Metà dei presenti erano ex delinquenti, addirittura vecchi brigatisti. L’equazione è facile: si celebreranno le esequie di un grande boss o di un terrorista, magari un guru della lotta armata. Nulla di più sbagliato.

È morto sabato scorso a 91 anni il professor Lorenzo Contri, Emerito nell’Università di Padova, ma soprattutto un uomo che ha scritto la storia. Una pagina affascinante di storia, che per troppo tempo è rimasta sommersa nell’oscurità. Lo stesso muro di oscurità che il professor Contri ha cercato di abbattere con l’arma più potente a disposizione di un essere umano: la cultura.

Lorenzo Contri è stato il primo volontario a entrare nelle carceri italiane, alla fine degli anni ’50, per cercare di portare sollievo e svago ai detenuti. Una missione condotta per quasi 50 anni e continuata tuttora dal professor Giorgio Ronconi e da Emanuela Colbeltardo, e che ha aperto la strada alle associazioni di volontariato che oggi collaborano con le carceri italiane. Un’attività nata quasi per caso.

Siamo nel primo dopoguerra, il dottor Denes è un medico istriano che collabora con gli istituti penitenziari per motivi di comunicazione. Molti reclusi sono di origine slava, serve qualcuno che conosca la lingua. Denes conosce anche il giovane Lorenzo Contri, nato a Vittorio Veneto ma cresciuto a Padova, e gli parla della sua idea: aiutare i detenuti attraverso lo studio. Il professore rimane colpito e inizia a collaborare, continuando la carriera universitaria che lo porterà nel 1967 a essere nominato professore straordinario della Facoltà di Ingegneria di Padova.

«Alla fine degli anni Sessanta», raccontò Contri in una delle sue ultime uscite pubbliche, «si manifestò un problema insolito: un gruppetto di detenuti del carcere di Alessandria, diplomati geometri, espresse il desiderio di laurearsi in Ingegneria. Spostati a Padova, divennero matricole alla facoltà di Ingegneria civile e io ebbi il compito di seguirli. Ho in mente uno di loro, dentro per un brutto reato: si dedicava allo studio della matematica quasi con fanatismo. E questo gli permise di sgombrare la mente dai pensieri ossessivi a cui l’inattività in carcere porta. Oggi è fuori, si è sposato e vive una vita normale». Contri fonda il Gruppo Operatori Carcerari Volontari, la sua attività diventa incessante. Aiuta a raggiungere il diploma e in alcuni casi anche la laurea a centinaia di detenuti.

Ma per Contri l’importante è il sostegno morale che riesce a portare nelle carceri. Nel 1986, subito dopo l’approvazione della legge Gozzini sulla funzione rieducativa della pena, il professore si impegna in prima persona con i giudici, firmando l’autorizzazione a far uscire in permesso alcuni detenuti. Li preleva dal carcere e li porta a pranzo a casa, seduti al tavolo con la moglie Teresa e i cinque figli. «È stata l’esperienza più toccante della mia vita», ricorda Vincenzo Contri, oggi 50enne. «Papà era una persona molto rigorosa, dalla grande fede cristiana. Ci ha sempre insegnato la distinzione tra bene e male. Ma allo stesso tempo un suo caposaldo era il rispetto di tutti gli individui».

Ad aiutarlo all’inizio della sua avventura fu anche il magistrato Giovanni Tamburino, oggi capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria. A ricordare il professore anche Nicola Boscoletto, presidente del consorzio sociale Giotto, da anni attivo in opere di volontariato al Due Palazzi: «Per me il professor Contri è stato un esempio da seguire. Non ha mai perso tempo a dire che cosa bisognava fare: ha fatto, ha testimoniato facendo, vivendo in prima persona quello in cui credeva. Il volontariato, è stato per lui, dal primo giorno fino all'ultimo, un semplice gesto di carità, di gratuità verso il prossimo più bisognoso».

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