L’arte e l’omosessualità. Vittorio Sgarbi: «I gay sono creativi»

Il critico venerdì sera ospite al Pride Village a Padova: «Anche Giotto era omosex. È una condizione di maggiore concentrazione e di individualità distinta»

PADOVA. Vittorio Sgarbi, questa sera alle 21 al Pride Village a Padova, è la star che parlerà di “Arte e omosessualità”. Esordendo con il botto: «Giotto era gay, ne ho le prove».

Giotto era davvero omosessuale?

«La teoria dell’omosessualità nell’arte è fondata su riscontri importanti: Leonardo e Caravaggio erano omosessuali, ma anche Andy Warhol e Bacon e Pasolini, dunque è quasi più logico pensare che lo fosse anche Giotto. Dunque stasera non parlerò di nulla: è più anomalo essere eterosessuali, farò una conferenza sulla normalità. Se tanti artisti sono stati e sono omosessuali, è per un forte stimolo alla creatività, è una condizione di maggiore concentrazione e di individualità distinta. Non so bene perché mi abbiano invitato, ma ho buoni precedenti: sono stato cacciato dalla Moratti da assessore alla cultura di Milano per aver proposto la controversa mostra “Vade retro. Arte e omosessualità”; sono stato il primo politico di centrodestra a partecipare al Gay Pride di Roma e la cosa fece scalpore; ho scoperto per primo Luxuria che batteva, negli anni Novanta, dietro Cinecittà. Andavo a registrare le trasmissioni con Maurizio Costanzo, m’incuriosì quel ragazzo alto e molto virile sul marciapiede e diventammo amici. Sono stato il primo a conoscere la transessuale Eva Robins trenta anni fa. Infine sono stato costretto a rinunciare a presentare il dopo festival di Sanremo nel 2003 perché avevo annunciato la presenza di Cossiga e Cristina Bugatty, celebre travestita d’inizio anni Duemila».

Oggi i gay sono discriminati?

«La discriminazione c’era negli anni Settanta. Oggi l’unica cosa grottesca che vedo nel mondo gay è il desiderio di matrimonio: un contratto che andrebbe abolito anche per gli eterosessuali. Una certificazione borghese che impone delle garanzie ma le invoca solo quando l’amore è finito: gli alimenti, i diritti alla pensione, l’amato in ospedale. La verità è che il matrimonio è l’inno della diffidenza, invece la mia parola vale di più dei contratti. Se dico «ti amo» devi credermi, altrimenti non ti fidi e vuoi il matrimonio. Trovo bizzarro che chi può vivere nell’amore totale - gli omosessuali - voglia imprigionarsi in un istituto dalla visione depressiva, concezione di un cristianesimo compassionevole abbastanza irritante».

Con l’assessore padovano alla cultura Flavio Rodeghiero avrete delle collaborazioni?

«Mi piace Rodeghiero e mi piaceva il suo predecessore, Andrea Colasio. Con Rodeghiero ci siamo parlati di recente al Pedrocchi, non abbiamo ancora approfondito ma si possono fare molte cose. Padova è una città ricca, più comoda di Venezia, potrebbe essere un polo espositivo importante e utile. Ad esempio mi sono occupato di questo falso Donatello: la città è in balia di Francesco Caglioti, uno che scrive senza autorità a 100 anni di distanza. Non è un testimone, ma uno che ha studiato quattro pezzi di legno e ha costruito una favola intorno ad una scultura che, più probabilmente, è del Baroncelli. Non si può far passare come documento una scritta postuma, le testimonianze devono essere coeve all’artista. Il vero crocefisso è quello in bronzo della basilica del Santo».

E Bitonci le piace?

«Non ho nessun pregiudizio. Anzi. L’ex sindaco, Flavio Zanonato non mi è sembrato una figura rappresentativa per la città. Aveva un'’ideologia di sinistra ma ostaggio di una visione paraleghista. Questo è un bravo sindaco. C’è la Lega di Bossi, poi quella di Maroni e infine quella del Veneto, quella catto-comunista: democristiani che si chiamano leghisti. Mi piacciono il governatore Luca Zaia e il sindaco di Verona, Flavio Tosi. E così Bitonci: è un bravo sindaco che cerca di proteggere le garanzie della sua città. L’apertura ai migranti, per esempio, è una minaccia. Si comporta come un democristiano moderato che difende la sua città e di sicuro è più risoluto di Zanonato e della Destro».

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