Lavoro, Sergio Picarelli (Adecco): «La flessibilità salva posti di lavoro»

PADOVA. Se la flessibilità è necessaria per la competitività delle aziende, è la garanzia di continuità a fare la differenza tra chi è, o si sente, precario e chi cavalca l’onda della contemporaneità, cambiando sede ma pur sempre lavorando. «Il posto per tutta la vita non esiste più: oggi nessun contratto a tempo indeterminato ti può “salvare” da un fallimento d’impresa. Ma la verità è che il posto fisso i giovani non lo vogliono più». Parola di Sergio Picarelli membro del cda di Adecco a Zurigo e ceo per l’Italia, Est Europa, Medio Oriente e India del Gruppo che conta 5 mila uffici in 60 Paesi al mondo.
Dottor Picarelli, com’è cambiato il mondo delle agenzie interinali dalla loro nascita a oggi?
«Adecco è sbarcata in Italia 20 anni fa grazie alla legge Treu che nel 1997 regolarizzò il mercato del lavoro introducendo il ruolo delle agenzie come intermediari tra domanda e offerta. Abbiamo creato un settore dal nulla con l’obiettivo di far crescere la popolazione industriale, all’insegna di una flessibilità regolata».
Cosa significa flessibilità regolata?
«Allora era vista come precarietà, ma dopo 20 anni possiamo dire che ha aiutato il mercato del lavoro. Gestiamo 40 mila persone al giorno e più di 5 mila sono assunte a tempo indeterminato. Abbiamo creato opportunità di lavoro reali grazie all’impiegabilità che è la capacità di creare occupabilità continuativa anche senza posto fisso. Adecco garantisce la continuità del lavoro».
A Nordest e in Veneto?
«E’ un’area fondamentale. Qui le aziende chiedono flessibilità ma faticano a trovare profili tecnici e ingegneri: un problema che parte dalla scuola, da università a numero chiuso in professioni a forte richiesta non solo a Nordest ma in Europa. Ma più si alzano i profili più le barriere geografiche si restringono. Più le aziende sono orientate al futuro, più sono attrattive».
Quanto e come la digitalizzazione ha modificato la ricerca di lavoro?
«Le nuove generazioni non vengono più in agenzia. Una volta era fondamentale aprire sulla strada, rendere visibile l’insegna, appendere in vetrina le offerte. Siamo stati la prima operazione di trasparenza dopo anni in cui il lavoro si trovava tramite l’amico, la raccomandazione, l’annuncio sul giornale. Eravamo lì, a entrata libera. Oggi è diverso: il servizio passa su device e sarà sempre più così. Ed è questa la nuova sfida dove stiamo concentrando l’attività di recupero dati, il recruitment e il contatto con whatsapp o App per l’iscrizione dei candidati e gli aggiornamenti. Il futuro? Sono già le filiali digitali presenti in Usa e Europa con staff online».
Nessuna nuova apertura ma chiusure di agenzie attive?
«Le abbiamo già ridotte dal 2007. Ora siamo efficienti così. E in ogni caso restiamo un punto di riferimento fisico importante».
Cosa abbiamo ereditato dalla lunga crisi?
«Un tasso di disoccupazione giovanile inaccettabile, abbiamo perso due generazioni non inserendole nel mercato all’età giusta e negandogli il futuro. Il Jobs Act qualcosa ha fatto ma la scuola è ancora disconnessa dal mercato del lavoro e sul fronte dell’alternanza siamo in ritardo di 15 anni. Con il progetto Tecnicamente nel 2016 Adecco ha fatto incontrare 200 ragazzi a 40 aziende partner, nel 2017 siamo a 14 incontri, 450 giovani e 90 aziende».
Caos voucher: che effetti ha avuto sul mercato del lavoro?
«Lì si è agito emozionalmente su uno strumento che aveva un obiettivo chiaro e giusto ma è stato esteso e usato in modo arbitrario. Siamo tornati ai contratti di somministrazione ma mancano gli strumenti per molte attività: credo che nessuno voglia lavorare in nero ma serve una grande semplificazione. Il lavoro cresce se è regolato in modo semplice».
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