Le armi di Bandini «Le parole della poesia contro la spazzatura»

CAORLE. «Dove le càtito, ciò! le parole che ghi n'è sempre manco? Le cato te le spassaúre che i descarga de sfròso in meso ai prà», scrive in dialetto vicentino Fernando Bandini in una poesia della raccolta Meridiano di Greenwich. Spazzatura che piano piano inizia a fare fumo e mette in fuga il poeta, che si rinserra in casa chiudendo bene i battenti. «La spazzatura è il linguaggio del mondo presente, dei mass media, che con la poesia ha poco da spartire. La poesia, anzi, deve difendersi da esso, poiché è sommergente, influente», chiosa il poeta vicentino, insignito il mese scorso del premio Librex Montale, che sarà protagonista del festival di poesia Flussidiversi, in programma a Caorle da domani a domenica (tra un reading e l'altro, domani si terrà l'inaugurazione di una mostra fotografica su Andrea Zanzotto, sabato la Crociera della poesia in laguna, domenica la performance Scoglidiversi, l'incisione di una poesia di Bandini sulla scogliera del lungomare). Bandini definisce i suoi versi "armi acute e crudeli". «Nel mondo moderno la poesia è debole, per questo deve armarsi - sostiene - Per essere forte ha bisogno di gesti perentori, decisi, come le sue scelte linguistiche: sembra quasi una lingua speciale quella della poesia nel mondo di oggi. Anche se, d'altra parte, sono proprio queste scelte che fanno sentire alla gente la poesia lontana».
L'attenzione per le parole, la materia della poesia, fonda la concezione materialista che ha di essa Bandini. «Per dipingere un quadro c'è bisogno dei colori, cioè di un materiale che ha un costo. La poesia non ha valore venale, non è quotata nel mercato, perché è un'arte gratuita, fatta con un materiale che non costa niente, al massimo il prezzo di un vocabolario, come le parole, che sono di tutti». Le parole: ad esse è necessario attenersi quando si legge una poesia. «Che cos'è l'alba nelle mie poesie? È l'alba. La talpa (la ciupinara) è la talpa. L'interesse per le parole può apparire più materiale, ma è più vero, più concreto rispetto alla ricerca, spesso fuorviante, di spiegazioni arcane». In Bandini, poeta trilingue, ciascuna lingua è veicolo peculiare di un'esperienza: «Il latino nella mia infanzia era la lingua delle preghiere: per questo lo uso nelle poesie di carattere religioso-sacrale. L'italiano è la lingua laica con cui affronto i temi lirici del mondo contemporaneo. Le poesie in dialetto rappresentano le paure della mia infanzia». Un'infanzia il cui mondo ha subìto un radicale mutamento, com'è accaduto a Vicenza, che si è rovesciata in "Aznèciv": «La mia città non è più quella che ho conosciuto da ragazzo, è profondamente cambiata, porta in sé gli elementi contraddittori del mondo contemporaneo. Per questo scrivo il suo nome all'incontrario».
Nel "mondo in fuga" di una "fin de siècle" in cui «tutto pareva morso dalla tarantola», lui, che fin da bambino «gli occhi avevo sempre fissi al di là di quello che si vede», chiede di restare soltanto «col suo cuore»: «In queste parole c'è la registrazione dell'avvenuta lotta e dell'immancabile sconfitta. Ma, nonostante nella mia vita abbia sperimentato l'impossibilità di cambiare il mondo, ho sempre continuato a pensare che fosse cambiabile, che fosse aggredibile con la volontà, e non smetterò di farlo». Intessendo "l'alta cosa" con una trama di parole, come un «ragno che alle stelle si appende e aspetta l'alba aggrappato a una celeste tela».
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