LE MICROSTORIE / Il rosario delle otto eremite di San Bonaventura

Chiesa piena per ascoltare le voci delle suore di clausura in via Cavalletto. Otto donne che non escono mai dal convento e non si fanno vedere

PADOVA. Si può anche essere allergici a religione, preti, suore, Vaticano e Ior, esercizi spirituali e pratica affaristica, nuova francescana primavera della Chiesa e vecchie abitudini, messe e compagnia celebrante. Ma.

Varcare la porta della chiesetta di San Bonaventura in via Cavalletto, lì dove spesse e rugose mura dal 1682 nascondono il convento di clausura delle Vergini eremite francescane, è una pur infima esperienza di spiritualità che tocca. E trasporta oltre. L’hanno aperta domenica, quella chiesetta, per celebrare la Beata Vergine del Patrocinio ed esporre al pubblico un’antica icona bizantina della Madonna. Alle quattro di pomeriggio vespri, adorazione e poi il rosario recitato dalle eremite. Che sono otto, compresa la badessa Gabriella. Piena di gente la bella chiesetta, con i dipinti di Pietro Damini e quattro candele accese davanti all’icona; sguarnito di presenze l’altare. E nel coro ultra protetto, da clausura, invisibili oltre una grata, loro: impossibile averne la minima percezione fisica, manco issandosi sui gradini. Solo voci sottili e decise, quelle delle otto eremite, suggestive nella loro realtà secretata. Presenze negate agli umani sguardi, a frettolose curiosità e per questo potenti, evocative di un altrove spirituale. Dove quelle donne trascorrono la vita.

La loro vita, inarrivabile, misteriosa scelta eremitica nel bel mezzo della città insipiente di loro. «Ave Maria piena di grazia...» si levano le voci dalla clausura ripetendo le preghiere del Rosario e rimpallandosi le strofe con i fedeli: «Santa Maria madre di Dio prega per noi...». Per un numero infinito di volte, nenia che rende facile una sorta di collettivo straniamento ma che rende anche urgente il desiderio di aggrapparsi a quelle segrete voci, di affidarsi a loro. A quelle eremite così fuori dal mondo da rappresentarne l’essenza.

Attenti, partecipi, concentrati, i fedeli riempiono con ordine la penombra della chiesetta. In parecchi restano in piedi per mancanza di posti: San Bonaventura deve essere emozionato davanti a tale inedita, oceanica folle. Intanto, in via Cavalletto, scorre una normale domenica pomeriggio, il mondo resta fuori dal possente muro di cinta conventuale che si scioglie nel continuum di stile e materiali scelti negli anni Cinquanta dall’architetto Bruno Morassutti per la casa confinante. Che infatti pare un eremo.

Era il 1612 quando fu fondato l’ordine delle Vergini eremite francescane a Padova: la prima sede era a Pontecorvo ma a causa di «disturbi e molestie pello strepito del passaggio e per le grida e gli scandali di due non lontane osterie» nel 1680 la badessa ventiduenne Anna Maria Zanolli acquistò il terreno in via Cavalletto. E lì trasferì il convento di clausura. Lì dove è adesso. Immobile e intoccato.

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