Lega, a Roma il grande gelo: Zaia e Tosi si evitano, pace sempre più lontana

Nemmeno una stretta di mano tra i due big, domani a Milano la resa dei conti. Tra i militanti serpeggia il disagio: questo non è il popolo padano di Pontida. La spaccatura interna sulle alleanza sempre più difficile da ricomporre
Da sinistra: Roberto Mussolini, Roberto Calderoli, Umberto Bossi e Matteo Salvini durante la manifestazione della Lega Nord contro il governo Renzi, piazza del Popolo, Roma, 28 febbraio 2015. ANSA/ ETTORE FERRARI
Da sinistra: Roberto Mussolini, Roberto Calderoli, Umberto Bossi e Matteo Salvini durante la manifestazione della Lega Nord contro il governo Renzi, piazza del Popolo, Roma, 28 febbraio 2015. ANSA/ ETTORE FERRARI

ROMA. Neanche una stretta di mano tra il governatore Luca Zaia e il sindaco di Verona Flavio Tosi. A Roma entrambi per partecipare alla manifestazione promossa da Matteo Salvini in piazza del Popolo, i due «gemelli» diversi del Carroccio – l’uno sul palco, oratore ufficiale insieme a Salvini, l’altro lontano dalle autorità, ai margini della piazza – confermano la siderale distanza che ormai li separa. Non è più semplicemente una visione politica diversa ma un’autentica, profonda e insanabile rottura personale, le più difficili da rimuovere.

Al termine della manifestazione romana, dopo che le diplomazie parallele avevano lavorato a lungo di messaggini, il momento che poteva salvare almeno le apparenze: ma nemmeno la fugace stretta di mano all’uscita del palco c’è stata. Salvini è sceso, accompagnato da uno Zaia nella parte di «spalla» ufficiale davanti alle telecamere e ai taccuini dei giornalisti. Ma quando Tosi si è avvicinato di pochi metri, nella calca generale, la stretta di mano c’è stata, ma solo con Matteo Salvini. Il governatore Luca Zaia ha indugiato, voltando le spalle ai due. Poco dopo, quando Salvini ha cercato - timidamente – di avvicinare i due, è stato Tosi che ha infilato rapidamente l’uscita. Insomma, nessuno dei due aveva voglia di salutare l’altro: del resto, sarebbe stata semplicemente un’ipocrita farsa. Lo scontro finale, dunque, è rinviato alla segreteria federale convocata per lunedì pomeriggio in via Bellerio a Milano: dove Matteo Salvini non potrà continuare a rinviare la mediazione.

La manifestazione romana, insomma, non è servita a stemperare lo scontro tra i due leader e i rispettivi sostenitori.

Luca Zaia arriva per primo, da solo, senza la maglietta d’ordinanza «Renzi a casa» che gran parte dei dirigenti sfoggiava. «É mia abitudine salutare i partecipanti, stare in mezzo alla piazza, ho salutato persone e scattato fotografie. Ho avvertito il calore di sempre, l’invito ad andare avanti» dichiara il governatore.

Ma anche Tosi, circondato dai fedelissimi Maurizio Conte, Fabio Venturi, Patrizia Bisinella, Daniele Stival, Luca Coletto, Marco Marcolin, riferisce la stessa cosa: «Preferisco restare in piazza, in mezzo alla nostra gente. Sono e resto della mia opinione: sto cercando di difendere il principio che le scelte sul Veneto le fa il partito del Veneto. Punto: da qui non mi schiodo perché è una battaglia che faccio non per me, ma per salvaguardare l’autonomia della Lega Nord nel Veneto. Vedremo. La rottura? Dipende da chi la vuole, noi non la vogliamo. Abbiamo posto dei paletti in base allo statuto della Lega».

La foto impossibile con Zaia e Tosi.

Tosi-Zaia, la foto impossibile a Roma

Preoccupato delle tensioni venete si mostra anche Umberto Bossi, il fondatore relegato a comparsa: il caso Veneto «è un po’ pericoloso: Zaia è forte e vince le elezioni comunque, anche senza alleati, ma il rischio è che la Lega si spacchi dopo, fra Zaia e Tosi. Tocca a Salvini evitarlo». E ha aggiunto: «la Lega non deve vincere le elezioni soltanto, ma evitare che poi ci sia la resa dei conti».

L’europarlamentare Mario Borghezio mostra invece la «convinzione» che Tosi e Zaia trovino un accordo: «Le baruffe chiozzotte risalgono a molto tempo fa. Questa questione se la devono risolvere a casa propria e conoscendo sia Zaia che Tosi sono convinto che troveranno la soluzione, mettendo da parte le battaglie personali, perché credo abbiano entrambi a cuore il bene della Lega e del Veneto».

Dal palco il governatore Luca Zaia recita la parte del «salviniano» di ferro: contro il governo per i tagli alle Regioni, contro Renzi per la gestione della questione profughi («È ipocrisia far credere al mondo che in Italia c'è ancora posto per i profughi»), contro la sinistra centralista e buonista sui temi della sicurezza. E ha chiuso, non senza scusarsi per il tono: «Torneremo in Regione e gli faremo un culo così» grida dal palco.

Nella piazza, tra le bandiere di improbabili sigle che vanno dai pescatori del sud ai romani di Casa Pound, serpeggia il disagio: questo non è il popolo di Pontida, questa non è più la Lega Nord, è un’altra cosa.

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