L’eredità di Ennio Concina è una Venezia da riscoprire

«Il lavoro di ricerca non si basa sull’inventario, si basa sull’invenzione». Questa frase di Ennio Concina, affidata forse all’ultima intervista rilasciata dal grande storico dell’architettura veneziana e bizantina, scomparso circa un anno fa, compendia il senso e la grandezza del suo pluriennale lavoro di “scavo” nella storia urbana e architettonica di Venezia e nei suoi rapporti con il Mediterraneo e l’Oriente islamico. Un lavoro affidato, sì, a una monumentale e capillare analisi delle fonti iconografiche, documentali e materiali, ma anche alla geniale capacità, che gli era propria, di incrociarle sul terreno dell’interdisciplinarietà e della loro comparazione. Scoprendo, così, nuovi filoni di ricerca e la capacità di “leggere”- partendo sempre dal testo, veneziano, greco o arabo che fosse - la storia di una civiltà, come quella veneziana, in tutte le sue sfaccettature. Quell’intervista è stata parzialmente riascoltata ieri a Venezia, nell’Aula Magna dell’Ateneo Veneto, nel corso della bella e intensa giornata di studio e di ricordo della figura di Concina che l’istituzione presieduta dal professor Guido Zucconi - d’intesa con le due università di Ca’ Foscari e Iuav in cui Concina insegnò - ha voluto dedicargli, riunendo colleghi, studiosi e allievi del grande storico per ricordarne la lezione, soprattutto nella sua attualità. Perché quello che è stato ripetuto più volte e da più persone ieri è che il patrimonio che Concina ha lasciato - oltre a un archivio enorme e di straordinaria importanza (basti pensare solo a ciò che riguarda l’Arsenale di Venezia, di cui è stato il massimo studioso) che attende di essere valorizzato come merita da chi dimostrerà di avere la competenza e l’interesse per farlo - sta proprio nell’attualità della sua ricerca e negli sviluppi che essa offre agli studiosi che vorranno raccoglierne il testimone. Anche se la Venezia di oggi - come ha ricordato ieri un’altra storica dell’architettura dell’Iuav come Manuela Morresi - non è quella che Concina ha studiato e valorizzato, “soffocata” nella sua forma urbis dalle grandi navi, dai banchetti di souvenirs o da interventi “innovativi” come quello di Rem Koolhaas per la trasformazione in grande magazzino del Fontego dei Tedeschi. E se Michela Dal Borgo ha ricordato le trentennali “peregrinazioni” di Concina nell’Archivio di Stato di Venezia, riocostruendo così, attraverso l’elenco delle sue schede di consultazione, l’evoluzione progressiva della sua ricerca sulla città, Claudia Salmini e Giordana Trovabene hanno ricordato lo studio pioneristico della struttura urbana di Venezia tra Medioevo e Settecento, attraverso le migliaia di schede redatte con il suo “pool” di ricerca sulle decime e sui catasti relativi alle sue abitazioni. L’unico mai realizzato.
Enrico Tantucci
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