L’orto è un’evasione per gli internati della casa di lavoro

«L’ orto è l’unica cosa che controlli in prigione, e l’idea di essere custode di un pezzo di terra ti dà il gusto della libertà»: così Nelson Mandela al termine dei suoi 28 anni di prigionia. E questa è la frase con cui la cooperativa Angoli di mondo presenta l’esperienza fatta quest’anno nel carcere Due Palazzi, assieme ad Agronomi senza frontiere, chiamata “Orto sconto: dalla terra al piatto”.
Con i 7 mila euro arrivati dalla Regione grazie a un bando vinto lo scorso anno, da aprile 2015 al mese scorso, due volte alla settimana, Monica Baldessari educatrice e Silvia Giacchelle cuoca (di Angoli di mondo) con l’aiuto di Giuseppe e l’agronomo Vittorio Casalini, sono andati in carcere a piantare semi, strappare erbacce, curare, raccogliere e cucinare pomodori, zucchine, melanzane, meloni, piselli, rapanelli, peperoni, insalate. E a guardare crescere i fiori. L’hanno fatto in un terreno, messo a disposizione dal direttore del Due Palazzi, proprio sotto le finestre del suo ufficio. Ma soprattutto l’hanno fatto assieme a una quindicina di persone (individuate dalla direzione carceraria) che poi sono diventate otto, essendo state, le altre, trasferite. Tutti uomini internati.
Erano 35 a Padova, in una palazzina bassa all’interno della casa di reclusione Due Palazzi, ora il numero sta diminuendo perché li stanno trasferendo altrove. Se tutti i detenuti sono invisibili, gli internati sono più invisibili degli invisibili. Trasparenti. E la struttura che li ospita - “Casa di lavoro” si chiama - è una vera discarica sociale. Ospita persone sottoposte a una misura detentiva prevista dal codice, applicata a chi, pur avendo scontato la pena, è considerato pericoloso per sé o gli altri. Sono persone che, fuori, non hanno nulla e nessuno: né famiglia, né lavoro, né legami, il che non permette di sciogliere la prognosi di "pericolosità sociale". Ci sono anche casi psichiatrici, più o meno importanti, i disequilibri dell’emarginazione, ma nessuno si occupa di loro: non tanto i volontari (anche psicologi) o gli educatori del carcere che fanno quello che possono, ma le istituzioni. Rimangono lì perché non hanno nessuno ad accoglierli fuori, a garantire; non hanno nessuno ad accoglierli e garantire per loro, e quindi rimangono lì. Un tremendo circolo vizioso. La durata minima del provvedimento è un anno, rinnovabile. E di anno in anno c'è chi ha raggiunto i due lustri.
Sono quattro in Italia le "case di lavoro": a Castelfranco Emilia, a Sulmona, Favignana e a Padova dove nel 2012 sono stati trasferiti gli internati nella struttura di Saliceta San Giuliano (Modena) danneggiata dal terremoto. Tornando all’”Orto sconto”, la cooperativa Angoli di Mondo ha intenzione di continuare, senza più sostegno economico ma nella speranza che che arrivi: «Il nostro impegno e lavoro proseguirà per i prossimi mesi, pur nella incertezza di sostenibilità finanziaria a copertura spese, grazie all'appoggio di alcuni volontari di Agronomi Senza Frontiere». «Di questa umanissima esperienza non possiamo dimenticare quell'aiuola di piccole e coloratissime zinnie, fiori forti e selvatici come Salvatore (deceduto nel corso del progetto), che amava raccoglierle “sempre ed in numero dispari” per averle alla domenica nel tavolo eucaristico e per donarle con galanteria alle donne che passavano in cortile»: raccontano Lorena Orazi e Cinzia Sattin, responsabili per le attività socio-educative della Casa di Reclusione.
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