Mafia e animali: «Io, intimidito con una pallottola»

PADOVA. «Io, veterinario dell’Usl, sono stato minacciato con una pallottola spedita a casa». La testimonianza, scioccante, è del dottor Aldo Costa, sessant’anni, medico veterinario all’Usl 16. Interviene al termine di un lungo convegno al campus universitario di Agripolis, dedicato alle infiltrazioni mafiose nella medicina animale, e racconta senza mezzi termini come le pressioni, per chi esercita la professione, siano ben più di quanto i comuni cittadini pensino.
Non si parla solo di malavita organizzata, ma anche di allevatori molto poco propensi ad agire per la salute pubblica, se questa contrasta con l’interesse personale.
«Quando devi andare da un allevatore a dirgli che una bovina va abbattuta, perché ha la tubercolosi» dice il dottor Costa «non è piacevole. E in quel momento ci sei solo tu, completamente solo, non hai nessuno alle spalle. Bisogna avere coraggio, di agire ed anche di denunciare: chi svolge questa professione è un servitore dello Stato e deve saper lavorare per il bene comune».
L’esperienza personale, raccontata senza giri di parole, restituisce un volto ed una voce ai numeri presentati poco prima dal collega Denis Marchesan, che insieme a due studenti ha realizzato un’indagine sul valore dell’etica nella professione.
Lo studio ha coinvolto oltre un centinaio tra medici (privati e dell’Usl) e studenti, a cui sono state poste svariate domande di natura teorica e poi pratica. Le seconde, avendo a che fare con l’esperienza diretta, hanno riguardato solo coloro che già esercitano.
Il quadro che emerge è impressionante: il 57% dei veterinari riconosce di aver subito pressioni di varia natura, il 24% non risponde, solo il 19% nega che sia mai successo.
Da chi vengono queste pressioni? Per il 36% dai clienti, 3% da allevatori, per il 36% gli autori si dividono tra colleghi di pari grado, superiori e colleghi non veterinari. I motivi riguardano falsi certificati (36%), modifica di referti, controlli e sanzioni (16%), richieste di denaro (6%), e ancora conflitti d’interesse o pagamenti in nero. Quasi il 40% degli intervistati preferisce non rispondere.
Anche le modalità con cui i medici vengono sollecitati lasciano senza parole: il 26% degli intervistati preferisce tacere, il 68% parla di pressioni, il 6% di vere e proprie minacce. Ecco, forse, i motivi per cui è così difficile, anche per la giustizia, scovare e fermare i malavitosi, che commettendo reati contro gli animali mettono in pericolo anche la nostra salute.
«La collaborazione tra sanità e giustizia, in ambito veterinario, è ancora all’anno zero» dice il sostituto procuratore Benedetto Roberti «quello dei veterinari è un mondo molto chiuso, ma è necessario aprire un dialogo perché la loro consulenza è indispensabile».
Il caso di frode conclamata, a Padova, finora è stato uno solo e riguardava l’alterazione delle carni bianche: «L’indagine» spiega Roberti «era stata aperta dalla Procura di Rovigo e poi mandata a Padova per competenza territoriale. Un soggetto padovano, formalmente un intermediario, in realtà procacciava sostanze vietate in tutta l’Unione Europea, perché causano dei danni alla salute dell’uomo.
"Una di queste è il clenbuterolo, che provoca la crescita dei muscoli e quindi fa pesare di più la carne, ma è nociva per l’animale e per chi lo mangia. Il reato veniva commesso grazie a veterinari collusi, ma anche tra le persone corrette abbiamo faticato molto ad ottenere informazioni. Siamo certi che di casi ce ne siano molti altri» conclude Roberti «ma nessuno parla. Lancio un appello: chi sa deve denunciare, per il bene di tutti».
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