“Malaterra”, Giuliano Menaldo scrive la vita contadina del ’900

La casa editrice Cleup dà voce a un altro autore padovano. Pubblicato nella collana “Vicoli”, diretta da Saveria Chemotti, esce “Malaterra”, il primo romanzo di Giuliano Menaldo, medico chirurgo, già primario di Otorinolaringoiatria negli ospedali di Bassano e di Rovigo, appassionato viaggiatore e curioso di culture diverse, innamorato da sempre delle parole e della loro forza.
“Sto toso no 'l voe nàssare”, brontolava Rosalia, la comare, affaccendandosi attorno al letto e dettando ordini alle aiutanti, “Presto, acqua calda! Ti, Gigia, pòrtame le pesse, svelta! Tose xe pronti i panesèi?”: si apre così la lunga storia della famiglia Bardinèo.
Un romanzo, dedicato a mamma Martina, che nasce da puntuali ricerche storiche e, attraverso la storia di una famiglia della Bassa padovana, narra le vicende di una famiglia veneta, dall’emigrazione in Brasile dell’Ottocento a cercare caffè e fortuna, al rientro a mani vuote in un Novecento di miseria, dove l’unica ricchezza stava nelle braccia, nell’aratro, nei pochi buoi in stalla.Il libro attraversa un secolo di storia, nella terra che s’incunea tra la dorsale occidentale dei Colli Euganei e la “Bassa”, una terra rossa e fertile, ma in balìa degli inverni e della siccità, tra due guerre subite più che vissute, anch'esse inestricabilmente legate a quella Malaterra che terrà saldamente fino in fondo legati a sé i destini dei suoi figli.
Una narrazione corale, dove la realtà della storia raccolta minuziosamente da documenti dell’epoca si fonde con quella del territorio per dar vita a un ritratto fedele del quotidiano vivere fino alla metà del secolo scorso, attraverso la fame, il lavoro, le sofferenze, l’amore e le discordie di una famiglia numerosa, dove il domani è sempre un porto sicuro, costruito tra le preghiere di una fede contadina mescolate a quel che resta di una ritualità pagana dura a morire. Così come la cantastorie al filò mescola le streghe alla Madonna, le ostie alle erbe magiche, Malaterra sgrana via via il rosario di una vita dove morte e amore si nutrono della stessa zolla.
Un libro che vuole essere memoria, affresco e testimonianza di un’epoca dove tutto è accaduto, culla inclemente, a volte crudele, della crescita di un Paese dove la polenta ha impedito la morte e costruito la seconda metà del Novecento. La scrittura è quella di chi ha alle spalle una formazione classica, pulita e al contempo ricercata, dove nessun termine è casuale, una lingua che riporta fedelmente il parlato contadino del secolo scorso, e il lettore si trova immerso in radici familiari comuni, esplora un passato recente in fondo, eppure così distante dal nostro vivere tecnologico da essere stato troppo presto dimenticato. Una storia dove riconoscersi, da raccontare e da raccontarsi, affascinante e cruda, senza però mai perdere la cifra letteraria della narrazione.
Nella prefazione di Ivano Paccagnella, non a caso uno storico della lingua autore del primo e solo Vocabolario del pavano, a segnalare i molti incisi di un dialetto veneto ormai perso, si legge: “È la storia delle nostre campagne, dei nostri Colli: della terra che non si può rubare, della terra che si mangia, della terra che si suddivide con buona pace o con liti e faide, fino a che spariscono i campi e le bestie: si inizia con il latte bevuto tepido, appena munto, si finisce per doverne comprare il litro dal lattaio che passa in corte, suonando la tromba. Malaterra, da cui fuggono o su cui muoiono i vecchi protagonisti. E allora, rèchiemetèrna”.
Malaterra sarà presentato domenica 20 ottobre 2013 alle 17.30 nel Salone delle Feste del Castello di Valbona, nell'ambito della Festa medievale. Oltre all'autore, interverranno Ivano Paccagnella, docente di Storia della Lingua Italiana Università di Padova, e Saveria Chemotti, direttrice della collana "Vicoli".
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