Maniero accusa l’ex legale «Vandelli gestiva i miei soldi»

«Aveva portato soldi e droga dentro il carcere per corrompere gli agenti di custodia e farmi fuggire. Ha recuperato e consegnato i miei messaggi dal carcere e gestito i soldi miei e dei miei cugini». Felice Maniero, un tempo capo indiscusso della cosiddetta mala del Brenta, poi convertito al pentitismo, è tornato ieri mattina di fronte al tribunale di Verona, in trasferta nell’aula bunker di Padova per l’occasione. Lui, l’ex bandito nelle vesti di testimone con un nuovo look (capelli corti e aria sempre sciolta), collegato in videoconferenza da una località segreta; il suo ex difensore di fiducia, l’avvocato padovano Enrico Vandelli, 64 anni (difensore il penalista (Rodolfo Bettiol), e il veronese (cugino di Vandelli) Gianni Catalogna, 65, ex promotore finanziario della Dival sim spa (difeso dai legali Umberto De Luca e Renzo Rizzati), sul banco degli imputati con l’accusa di aver riciclato un miliardo delle vecchie lire affidate loro da Maniero. «Nella mia vita, non ho mai svolto attività lecita e a chi ha investito i miei soldi, (il riferimento è a Vandelli a Catalogna), ho detto chiaramente da dove provenivano. Gliel’ho riferito negli incontri svoltisi a casa mia e in un ristorante a Campolongo Maggiore nel Veneziano». Erano soldi provenienti da rapine, furti e spaccio di droga. «Se Vandelli sapeva che era denaro sporco? Nella mia vita non ho svolto una sola attività lecita nè venduto o avuto patrimoni lecitamente, questo è facile da appurare». È stato l’ex boss a raccontare uno dei pochi risvolti veronesi della sua attività «di stampo mafioso». I fatti all’esame dei giudici si sono verificati a Verona tra il 1991 e il 1993. Il pm dell’antimafia di Venezia, Paola Mossa, accusa i due di aver riciclato i soldi non solo di Maniero per 560 milioni di vecchie lire ma anche del cugino Giulio Maniero (150 milioni) e di Giuliano Rampin (200 milioni). Quasi un miliardo delle vecchie lire provenienti dalle attività illecite della mala come hanno specificato «Faccia d’angelo» e suo cugino, Giulio, sentito anche lui (ad assisterli i legali Giovanni Lamonica e Gian Mario Balduin). È stato lo stesso “Felicetto” a descrivere il rapporto con il suo ex legale Vandelli, condannato a 4 anni e 8 mesi di cui solo una parte scontati in carcere tra la Francia e l’Italia per aver partecipato all’associazione di stampo mafioso. «È stato mio difensore per molti anni fino al 1994 quando ho iniziato a collaborare», ha spiegato, «ma ha fatto molte altre cose». Cosa? Faccia d’Angelo riassume in pochissime parole anni di complicità: «Ha portato soldi e droga in carcere per corrompere gli agenti affinchè mi aiutassero ad evadere (il 14 giugno 1994 dal carcere di Padova)». E ancora: «Vandelli era il mio referente per inviare i messaggi agli altri componenti della gang quando ero in carcere». E, infine, «ha investito i miei soldi». E proprio qui rientra l’accusa di riciclaggio, formulata dalla Dda di Venezia. «L’idea è partita da Vandelli. Mi chiese se avevo dei contanti da investire perchè suo cognato (Catalogna) lavorava per la Ducato (in realtà Dival) e poteva riciclare i soldi per qualsiasi cifra».
L’affare andò in porto anche se Maniero pose subito condizioni al legale e al promoter: «Nessuno doveva sapere che quei soldi erano miei altrimenti me li avrebbero sequestrati e loro mi garantirono che mai nessuno l’avrebbe saputo». Tanto bastò all’ex boss: «Ero convinto che i soldi fossero in mani sicure», ha aggiunto, «avevo piena fiducia in Vandelli. Gli dissi anche di non venire mai davanti a casa mia con l’auto perchè ero controllato dai carabinieri». E poi Faccia D’Angelo pronuncia una frase che fa capire forse più di ogni altra cosa il contesto in cui viveva chiunque avesse rapporti con la mala del Brenta: in caso di sparizione dei soldi, «i due avrebbero rischiato pesante».
L’ex boss della mala del Brenta ha parlato degli incontri con Vandelli e Catalogna che avvenivano nella sua casa nel Padovano o al ristorante, come ha riferito pure il cugino Giulio Maniero, sentito poco prima di Felicetto. «Consegnai ai due 150 milioni di vecchie lire contenuti in una borsa perchè li investissero», ha spiegato Maniero, «in un ristorante di Saonara». E sempre in un ristorante, questa volta a Campolongo, ci fu la restituzione a Maniero di 500 milioni di lire dai due imputati: «Sì, è vero», ha risposto Faccia d’angelo sollecitato da uno dei difensori, «quei soldi mi sono stati restituiti». Un passaggio che aveva “dimenticato”. Il processo riprenderà il 23 maggio a Verona.
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