Marthaler, il viaggio dalla musica al teatro

VENEZIA. Domani pomeriggio alle 16 a Ca’ Giustinian sarà consegnaro il Leone d’Oro alla carriera al regista elvetico Christoph Marthaler. Ha inaugurato qualche giorno fa la 43ª edizione del Festival Internazionale un suo spettacolo “Das Weisse vom Ei/Une île flottante”, elaborazione di alcune commedie sull’ambizione e la vanità di Eugène Labiche, facendo emergere l’ipocrisia e il conformismo della società in cui sono ambientate.
Nella scena europea il 64enne Marthaler si caratterizza per il suo percorso formativo, lo studio di oboe e flauto e la particolare commistione fra musica e teatro, cui ha dato origine nel suo lavoro di regista. A questo importante aspetto fa riferimento anche il direttore della Biennale Alex Rigola nella motivazione dell’assegnazione del Leone d’ Oro, in cui fra l’altro scrive «per la ricerca di un linguaggio personale. Per il suo lavoro musicale in spettacoli in cui apparentemente la musica non appare. Per il suo senso dell’umorismo. Un senso dell’umorismo sempre intelligente che permette di unire tragedia, dramma e commedia in un unico mondo». Lo scorso anno gli era stato assegnato in Italia il premio Ubu per il miglior spettacolo straniero andato in scena in Italia “Glaube Liebe Hoffnung” di Ödön von Horváth al Festival di Spoleto.
L’altro pomeriggio, intervistato dal critico Andrea Porcheddu, nel salone delle Colonne di Ca’ Giustinian, Marthaler è stato il protagonista del primo degli incontri in programma per gli spettatori e le centinaia di attori in città fino a domenica prossima per partecipare ai laboratori e workshop promossi dalla Biennale. Diversi gli aspetti affrontati, specie sull’onda degli stimoli dello spettacolo presentato giovedì, vivace, in grado di spiazzare in continuazione anche un pubblico avvertito, alternando i registri alti a quelli bassi e spaziando dalla poesia alla musica. E proprio a proposito delle motivazioni del suo passaggio al teatro dalla musica, che ha praticato sia in ambito classico che sperimentale, dice: «Non era sufficiente per me, non mi bastava. Volevo arrivare alla prosa e ho cercato di far convivere in un unico contesto queste due dimensioni». Fra gli argomenti della conversazione, il lavoro con gli attori, cui Marthaler giunge ad attribuire la funzione di coautori della messa in scena tanta è la considerazione che ha per gli interpreti. L’unico uomo di spettacolo di cui confessa di continuare ad essere affascinato è il regista cinematografico Buñuel. A Porcheddu che gli chiede le ragioni della ricorrente presenza nelle scene dei suoi spettacoli di ambientazioni degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta del ’900 risponde che si tratta di una scelta con cui si vuole prendere le distanze dalla contemporaneità. Ma l’aspetto che illumina la ritrosia dell’uomo e al tempo stesso la rivendicazione a essere giudicato soprattutto per i suoi spettacoli è il tentativo di sottrarsi ad alcune domande: le scelte artistiche (nel caso, perché gli animali impagliati in scena) non devono sempre essere spiegate.
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova