Massacrata di botte e poi calunniata

Il pm Roberti chiede di processare due parenti del marito  che prese a martellate la moglie e poi si tolse la vita

SAN GIORGIO IN BOSCO. Aveva preso a martellate la moglie e, convinto di averla uccisa, si era impiccato. Era accaduto in una villetta di San Giorgio in Bosco il 2 settembre 2017. Lei, un’impiegata italiana, è sopravvissuta a quel massacro. E poi anche a una “prova” altrettanto dura: la calunnia.

Ed è per il reato di calunnia che ora rischiano di andare a processo due familiari dell’ex marito di origine serba, che avevano cercato di gettare ombre sul suicidio del parente ventilando chissà quali complotti da parte dell’ex coniuge e di un carabiniere suo amico.

L’obiettivo? Screditare la donna e far nascere il sospetto che la morte del consorte non fosse un suicidio ma solo una messinscena organizzata dalla donna con la complicità del sottufficiale. Un vero e proprio depistaggio e una valanga di falsità messi a punto con cura e determinazione, allegando foto del cadavere scattate in obitorio (nonostante la salma fosse ancora a disposizione dell’autorità giudiziaria e nessuno potesse accedere in quello spazio) e un audio costato una segnalazione a carico di un’infermiera trasmessa ai vertici dell’ospedale di Cittadella.

Nei guai Roki Bulatovic Milutin, 60 anni residente a Padova e Milos Kuveljc, 45 irreperibile dal luglio scorso: a chiedere il processo nei loro confronti è il pubblico ministero padovano Benedetto Roberti.

Quella mattina di due anni fa il marito (indagato per stalking su denuncia dell’ormai ex consorte che si stava separando) aveva deciso forse di chiudere i conti con la moglie a modo suo: dopo averla costretta a vivere un inferno domestico, era deciso ad ammazzarla. Lei, pestata per anni, voleva separarsi e non intendeva cambiare idea. Così lui l’aveva massacrata con quel martello colpendola alla nuca e in faccia.

Convinto di averla uccisa, si era poi impiccato. Scattati i soccorsi, la donna era stata caricata a bordo di un elicottero e trasferita in ospedale dove aveva “vaneggiato” viste le sue gravissime condizioni: quelle parole erano state registrate da un’infermiera e l’audio consegnato inspiegabilmente ai parenti dell’ex marito.

Sempre i parenti si erano anche procurati le foto del cadavere in obitorio. Poi avevano confezionato un esposto anonimo (corredato dall’audio e dalle foto) consegnandolo a Federcontribuenti affinché fosse divulgato a stampa e tivù (ma l’associazione non si è prestata).

Non contenti, avevano presentato l’esposto pure alla Squadra mobile di Padova che ha avviato accertamenti. Così è emerso che il carabiniere era stato raggiunto da una telefonata mentre era in servizio dai parenti della donna quando la tragedia era già accaduta. Doppia la conferma: le celle che agganciavano il suo cellulare. E la testimonianza del comandante della stazione al quale il militare aveva chiesto un permesso per raggiungere il luogo dove si era consumato il dramma. —

. Cristina Genesin
 

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