Massanzago: selfie con la donna che aveva appena ucciso

L’assassino spedì le foto alla madre: confermati i 30 anni di carcere



L’aveva aggredita a morte nell’abitacolo della macchina di lei. E, particolare agghiacciante e mai emerso, dopo averla massacrata con nove coltellate (otto al collo di cui una mortale alla giugulare), prima si era ferito, poi aveva scattato dei selfie inviando le sue foto alla madre.

I selfie

Chissà cosa è passato per la testa di Luigi Sibilio, l’assassino di Natasha Bettiolo, in quel momento. L’episodio - mai venuto alla luce prima – è raccontato nelle motivazioni della sentenza della Corte d’appello di Venezia che, lo scorso marzo, aveva confermato la condanna a 30 anni di carcere nei confronti del 36enne napoletano, ritenuto responsabile del reato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dalla minorata difesa della vittima, la 47enne cuoca di Massanzago uccisa con 9 coltellate davanti alla scuola elementare di Trebaseleghe dove lavorava.

Quei selfie, secondo i giudici di secondo grado, nulla cambiano rispetto alla pronuncia di primo grado emessa dal gup padovano Mariella Fino. Nel senso che resta indubbia la capacità di intendere e di volere di Sibilio, al momento del fatto, come accertato dai consulenti del pubblico ministero Roberto Piccione che ha coordinato l’inchiesta. «Nè l’auto inflizione di ferite, subito dopo aver cagionato il decesso altrui (di Natasha) sminuisce la portata di quanto compiuto» scrivono i giudici «soprattutto se si considera che una siffatta circostanza (sé stesso ferito) è stata oggetto di fotografie inviate alla madre mentre a fianco vi era una persona deceduta per causa sua e stavano intervenendo i soccorsi...».

Luigi Sibilio aveva cercato di riconquistare la donna con la quale aveva avuto una brevissima relazione. Ma lei non voleva più saperne di lui, uomo senza arte né parte. Non solo.

Premeditazione

Sibilio è definito nelle motivazioni «personalità manipolativa, simulatoria, ossessiva e possessiva, capace di programmare l’omicidio della donna amata qualora non fosse stato in grado di riconquistarla...». Ancora è bollato come «personalità istrionica e simulatrice... Una volta compiuto il delitto, unica preoccupazione dell’imputato, che si era auto inferto alcune coltellate, era stata quella di accertarsi se la donna fosse morta o se fosse ancora viva». Insomma, per lui, Natasha era qualcosa da possedere. Rammentano i giudici a proposito della «gelosia parossistica» di Sibilio: «Nel settembre 2016, in un luogo pubblico, lui aveva mostrato a Natasha un taglierino apostrofandola con insulti». E ancora «sei giorni prima del delitto» aveva fatto un video «nel quale rivolgendosi ai familiari (residenti al sud) affermava “io qui amo una donna... se non è mia io mi uccido, o è mia o di nessuno”».

Nessun dubbio sul fatto che «ha programmato il delitto della donna amata, qualora non fosse stato in grado di riconquistarla». Non è servito vestirsi bene per andare all’appuntamento con Natasha che aveva accettato di incontrarlo all’uscita dal lavoro quel tragico 18 maggio 2017. E, senza paura, aveva fatto salire Sibilio nella propria auto, mai immaginando l’aggressione mortale. Invece lui «occulta in un calzino un coltello» e si presenta «ben vestito per non ingenerare sospetti».

Problemi economici

In realtà Luigi Sibilio «Natasha voleva riprendersela a tutti i costi perché non era solo la donna amata, era colei che, raccogliendolo, avrebbe potuto risolvere i suoi problemi abitativi ed economici». Gelosia malata e senso di possesso. E ben di più: nessun pentimento. Del resto giorni prima aveva commentato al bar «l’omicidio di una donna con la frase “non servono 50 coltellate, ne basta una qua sul collo”». E poi, una volta arrestato, aveva cercato di fare la vittima «valorizzando il suo stato di dipendente da alcol e da sostanze stupefacenti».

Niente da fare. Anche per i giudici della Corte d’appello Luigi Sibilio, l’assassino di Natasha, merita 30 anni che sta scontando nel carcere di Vicenza. —

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