Mazzette all’obitorio la pandemia fa slittare ancora il processo

Gli imputati sono 41, troppi per stare tutti in un’unica aula I fatti sono del 2014, sospesi i termini per la prescrizione
Nicola Cesaro
SALMASO - AREE OSPEDALE. OBITORIO SALMASO - AREE OSPEDALE
SALMASO - AREE OSPEDALE. OBITORIO SALMASO - AREE OSPEDALE

Si va al 12 novembre per “dribblare” le restrizioni della pandemia. Con una garanzia, soprattutto a fronte di fatti avvenuti comunque molto in là nel tempo, tra il 2014 e il 2015: la sospensione dei termini per la prescrizione. Ieri mattina il processo per le “mazzette all’obitorio” ha subito un nuovo rinvio, con il consenso di tutte le parti: i 41 coimputati – a cui vanno aggiunti anche gli avvocati difensori – sono un numero decisamente troppo importante e la contemporanea presenza in aula delle parti in causa rappresenta un forte rischio al veicolo del virus.

IL PROCESSO

Il processo in questione è appena agli inizi (ad oggi si è ascoltato un solo teste di polizia giudiziaria) e vede imputate 41 persone: 28 fra titolari e lavoratori di imprese funebri e 13 addetti all’obitorio dell’Azienda Ospedaliera di Padova. Un imputato ha patteggiato due anni con la sospensione condizionale e 3 mila euro di risarcimento all’Azienda Ospedaliera. Le accuse mosse dalla pubblica accusa (pm Maria D’Arpa) sono a vario titolo di corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio, falso ideologico e truffa. In poche parole, questo l’assunto della Procura, sarebbe stata chiesta la mancia per trattare bene i cadaveri che arrivavano in camera mortuaria. Stando alla ricostruzione dell’accusa, gli addetti all’obitorio ricevevano dagli impresari delle pompe funebri una cinquantina di euro di mazzetta per ogni salma: in questo modo si aggirava il pagamento della tariffa (di 80 euro, dunque maggiore di 30 rispetto alla “mancia”) per prestazione di servizio obitoriale.

il meccanismo

All’arrivo di un defunto in obitorio, infatti, per regolamento aziendale avviene la cosiddetta ricomposizione della salma: toelettatura, vestizione e trattamento. Nei casi contestati dalla Procura, gli addetti all’obitorio redigevano una falsa attestazione sulla conformità della salma che evitava alle imprese funebri il versamento all’Azienda della tariffa da 80 euro. Il dipendente dell’obitorio non faceva incassare all’ente gli 80 euro e si intascava in nero una somma inferiore.

LE DENUNCE

Quello svelato dalla Procura pareva essere un vero e proprio sistema: comprensibile, dunque, che al dare il via al lavoro degli inquirenti sia stato un esposto anonimo. Gli investigatori, nel corso delle indagini, non avrebbero poi avuto problemi a raccogliere più di qualche contributo indignato di fronte quella situazione ritenuta non più tollerabile. Alcune imprese funebri hanno fornito testimonianze quasi scioccanti: quella “tassa” era da pagare per evitare addirittura maltrattamenti alla salma.





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