Mirandola e la leggerezza dei paradossi

Attore, autore, animatore di gruppi teatrali, comico, scrittore, Vasco Mirandola è sostanzialmente un creatore che non si prende mai troppo sul serio. Una ventina di anni fa un suo libro di poesie dai tratti paradossali, Non urlare che mi rovini il prezzemolo ha avuto una buon successo in libreria. Ora torna sul luogo del delitto con un altro piccolo libro Carpe diem, Trote gnam (Cleup, p.144, 12 euro) in cui le associazioni libere, i giochi fonetici, il gusto per la sterzata comica si uniscono ad una leggerezza del tono che non diventa mai banalità. Il libro, che verrà presentato stasera alle 18 alla biblioteca di Mestre, l’8 all’Auditorium Santini a Noventa Padovana e il 12 alla biblioteca di Castelfranco si compone di brevi poesie che, ruotano intorno al gioco di parole, al disguido semantico, alla parodia. Ma quello che conta è il tono, che è sempre improntato ad una sorta di gentilezza, quasi ad instaurare tra scrittore e lettore una complicità gradevole. Anche la provocazione scorre lieve, senza aggressività, perché quella che Vasco Mirandola ama esplorare è l’ambiguità della lingua e quindi della realtà che la rispecchia. Qualche volta basta prendere una parole nel suo significato letterale perché improvviso scoppi il paradosso, oppure basta interrompere a metà un modo di dire, perché improvvisamente si alteri totalmente il suo senso, rivelando dietro l’abitudine una inconsapevole svolta divertente ma anche in qualche modo inquietante. Per certi versi Mirandola lavorasulle potenzialità nascoste nella lingua, ma lo fa non per accumulo, semmai per sottrazione, con una levità che è la stessa che ha nutrito, da attore, la sua comicità. Un tempo la sua poesia si sarebbe detta “demenziale” e si potrebbe dire ancora, ma solo nel senso che sovverte l’ordine naturale delle cose e delle parole, per farne apparire un altro, più sorprendente e più sorridente. “Mi illumino di neon” non prende in giro Ungaretti, mostra solo come le parole possano condurre in direzioni divergenti, calando verso il basso ciò che si può spingere verso l’alto o viceversa. Vasco Mirandola, con l’aiuto grafico dei disegni di Elena Mirandola, costruisce un mondo a parte, un mondo buffo in cui si può dire: «A volte si è talmente soli/ma talmente soli/che talmente è di troppo». Ma anche un mondo in cui le parole possono diventare puro gioco fonico «Io non ho che te/ tu non hai che me/ e in due non abbiamo un granché». E si potrebbe continuare con gli esempi, anche con quelli in cui alla comicità si unisce il lato sentimentale che non è mai assente nei lavori di Vasco Mirandola come quando dice «Coglierò per te/ l’ultima rosa del giardino/ del mio vicino/ sperando che non mi aizzi contro/ il suo mastino».
Nicolò Menniti-Ippolito
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