Monselice ricorda il “Giusto” Antonio Sette

MONSELICE. La città della Rocca riscopre il "suo" Giusto tra le Nazioni: Antonio Sette, che nascose una famiglia ebrea a San Cosma, rivive nelle parole del figlio e della "piccola" Luciana Zevi. È un pomeriggio davvero toccante quello proposto dalla rassegna "Monselice Scrive": sabato pomeriggio, in occasione della presentazione del libro "Gli ebrei e Monselice. Tessere ricolorite di un mosaico incompleto" dello studioso Roberto Valandro, è emerso un quadro inedito di un cittadino monselicense che ha compiuto un gesto davvero grande, salvando la famiglia ebrea di Umberto Primo Zevi dall'essere deportata in un campo di concentramento. La scoperta è avvenuta in maniera singolare: nel 1998-99 la quinta classe della scuola elementare Daniele Manin, guidata dalla maestra Annamaria Bizzotto (ora in pensione), aveva realizzato una ricerca, poi fatta concorrere per i prestigiosi Premi Brunacci, che partiva dalle note di Roberto Valandro su "via Ghetto". Da lì, tramite una serie di testimonianze raccolte, si è arrivati ad Antonio Sette che viveva in via Pozzetto, nelle prossimità di via Ghetto. Luciana Zevi, figlia della cugina della seconda moglie di Sette, nel 1943 aveva 6 anni e insieme ai genitori (era figlia di un matrimonio misto, papà ebreo e mamma cristiana) arrivò a bussare di notte alla porta di via Pozzetto. «Un autista ci ha portato di notte in via Stortola», ricorda Luciana che adesso ha 80 anni, «siamo arrivati alla chetichella che la via era completamente buia. Nella famiglia di Antonio erano in 9-10 fratelli, erano persone molto gaudenti e ci hanno accolti subito con affetto. Io vedevo Antonio come un dio, ci voleva tanto bene». Antonio ha rischiato davvero molto, le leggi razziali del 1938 avevano portato alla creazione di una lista degli ebrei presenti sul territorio e la vigilanza era molto stretta. Nonostante il pericolo ricorrente, è riuscito a nascondere la famiglia Zevi per 18 mesi sotto falso nome: Zevi faceva finta di essere francese dato che lo conosceva alla perfezione. Il figlio di Sette ha portato la testimonianza del padre defunto: «Li avevano sistemati nella parte più alta dell'abitazione, al primo piano, in una stanzina 4x3m» spiega «fuori c'era l'inferno, milizie che giravano dappertutto e il cibo scarseggiava. Mio padre aveva fatto la prima guerra mondiale e il Carso, alla richiesta "Salvaci" non ci ha pensato due volte e li ha fatti entrare in cucina». (c.b.)
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