Muore Bigas Luna A Venezia vinse il Leone d’argento

È morto ieri a Tarragona, sulla riviera catalana, il regista spagnolo Bigas Luna. Malato da tempo, aveva 67 anni. Se dovessimo pensare all’equivalente italiano di Bigas Luna si dovrebbe guardare a un mix tra Alberto Lattuada e Tinto Brass. Le attrici (e gli attori) scoperti e valorizzati dal cineasta spagnolo ricordano infatti i talenti scoperti da un regista sensibile al nuovo come Lattuada: da Javer Bardem a Penélope Cruz, da Anna Galiena a Francesca Neri. Un’attenzione speciale verso la sessualità e l’universo femminile che dalle nostre parti è stata esaltata da un cinema vicino a Tinto Brass, con cui Bigas Luna condivideva, per così dire, alcuni interessi. La rilettura dissacrante della sessualità tradizionale del mondo iberico, sempre piuttosto morigerato quanto ad apparenze, molto più trasgressivo in segreto, è stata una sua costante sin dai primi cortometraggi, anche se nel complesso la sua opera ha ricevuto una valutazione commerciale superiore a quella critica. Nato a Barcellona il 19 marzo 1946, Bigas Luna esordisce nel cinema nel 1971. In quei primi anni di attività pone il cinema al servizio del design e dell’arte concettuale nella cui scia si pone sin dalla fine degli studi. Arrivato ai 30 anni, Luna si lascia alle spalle la video arte: nel suo primo lungometraggio "Tatuaje", tratto da un romanzo di un altro catalano come Manuel Vazquez Montalban, affronta il tabù dell'incesto. Tema ripreso nel 1977, quando realizzò undici cortometraggi in 16 mm, tutti di argomento erotico, poi raccolti nel video “Historias impúdicas”. Era l’inizio di una carriera che ha avuto riconoscimenti importanti, più per la bravura (diciamo così) delle sue interpreti che per un preciso quanto profondo spessore estetico e artistico. In particolare, dopo una partecipazione al Festival di Cannes con “La chiamavano Bilbao” (1978), si mette in mostra con “Lola” (1986) e soprattutto con “Le età di Lulù” (1990) in cui lancia nel ruolo della protagonista Francesca Neri. Ancora un paio d’anni e il suo percorso di rivisitazioni erotiche viene consacrato da un generoso leone d’argento alla 49a Mostra del Cinema di Venezia. A vincerlo è “Prosciutto, prosciutto” con Anna Galiena, Penélope Cruz, Javier Bardem e Stefania Sandrelli, un film che, prodotto da De Laurentiis, prometteva sensualità sin dal titolo, che nell’originale “Jamón Jamón” significa appunto prosciutto, ma è anche il termine con cui in Spagna si definisce in maniera volgare una bella donna. In quell’anno a vincere il leone d’oro fu Zhang Yimou con “La storia di Qiu Ju”, mentre Mario Martone riportò il leone d’argento per “Morte di un matematico napoletano”. A Bigas Luna andò il gran premio speciale della giuria ex-aequo con altri due registi Claude Sautet (“Un cuore in inverno”) e Dan Pita (“Hotel di lusso”), attribuita da un giuria che era stata ex-aequo in tutto, anche nei due presidenti Dennis Hopper e Jiri Menzel. Film (e verdetto) non furono esenti da critiche, rinnovatesi due anni dopo, sempre al Lido, con “La teta y la luna” (1994). “Prosciutto prosciutto” ebbe un discreto successo in Italia mentre in Spagna passò più sotto silenzio: all’origine del diverso esito fu il richiamo della Sandrelli, che tornava a un film erotico dopo “La chiave” (1983) di Brass, analogo a quello della Galiena, che aveva molto sedotto gli spettatori de “Il marito della parrucchiera” (Leconte, 1990). Dopo “Uova d'oro” (1993), con Alessandro Gassman, Bigas Luna portò sul grande schermo “Bambola” (1996) con Valeria Marini, con cui la sua parabola internazionale si esaurì. A Venezia sarebbe tornato dieci anni dopo da giurato.
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