Mutismo e finti scandali a orologeria “La vita oscena” tradisce le attese

Caduta all’inferno e ritorno. “La vita oscena”, il film scritto e diretto da Renato De Maria, tratto dal romanzo autobiografico di Aldo Nove (anche sceneggiatore) apre sul suolo della Mostra, nella...

Caduta all’inferno e ritorno. “La vita oscena”, il film scritto e diretto da Renato De Maria, tratto dal romanzo autobiografico di Aldo Nove (anche sceneggiatore) apre sul suolo della Mostra, nella sezione Orizzonti, un baratro di morte, pornografia, droga e ottundimento fisico e morale. Il protagonista Andrea/Aldo, interpretato dall’attore francese Clement Metayer (insolita la scelta di non fargli recitare una battuta: di lui - anzi del suo doppiatore Fausto Paravidino - sentiamo solo la voce fuori campo) viene “iniziato” alla morte sin da adolescente, quando rimane orfano di entrambi i genitori. In particolare, la perdita della amatissima madre (Isabella Ferrari in versione figlia dei fiori) lo fa sprofondare in una dimensione allucinata che Andrea vorrebbe suggellare con una morte “poetica” per overdose, non prima di aver attraversato le stazioni di una via crucis profana, stupefacente e psichedelica, popolata di personaggi assurdi.

Come l’eterea infermiera (Eva Riccobono) che cura il suo corpo mummificato dopo l’esplosione della casa, la prostituta golosa e dedita al sugo di pomodoro (Iaia Forte) che lo avvolge nelle sue forme, il transessuale (Vittoria Schisano, al suo secondo ruolo “femminile” dopo il cambiamento di sesso) che improvvisa una danza sinuosa e la mistress (Anita Kravos) che gli fa usare la lingua come posacenere.

Intanto Andrea vaga per la città con il suo skatebord alla ricerca della morte che, tuttavia, lo evita e gli concede l’occasione di rinascere, scuotendo la pellicola trasparente che ne ha soffocato il passato e gli affetti in un finale tanto ottimistico quanto frettoloso, dopo un’ora e venti di caduta e lamento esistenziale.

Tutto sembra immerso in un liquido denso e ipnotico, come se i personaggi si muovessero a rallentatore all’interno di un acquario pop-letterario, ma si fatica a comprendere il senso ultimo di un film (co-prodotto anche da Riccardo Scamarcio, presente al Lido e come sempre inseguito e accalamto dalle fan), al di là dell’ambizione (rimasta tale) di tradurre in immagini la prosa visionaria di Nove, si spiaggia inesorabilmente nello sguardo catatonico di Metayer e nei finti scandali a orologeria di pratiche sadomaso, cumuli di riviste hard sul pavimento, piste di cocaina, suggestioni “orali” e transgender che non impressionano più nessuno.

Marco Contino

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