«Nessuna paura dei soldi ma dobbiamo usarli bene»

«Poche attività sono così spirituali come compilare un bilancio. Prima si liquidava la questione come un’incombenza da cui scappare. Oggi ci stiamo rendendo conto che non è così». Don Gabriele Pipinato è il volto della riforma economica in corso nella diocesi di Padova. Già in carica nell’ultima parte del mandato di Mattiazzo, dopo vent’anni di esperienza missionaria in Kenya con l’organizzazione Saint Martin, è stato confermato nell’incarico, con piena fiducia, dal nuovo vescovo don Claudio Cipolla. Anche per questo lui guarda al passato recente come a un percorso di avvicinamento, lento e progressivo, ai risultati di oggi e alla pubblicazione del bilancio. «Non c’è stata una svolta con il cambio di vescovo», dice, «c’è semmai un processo che si avvia a compimento. Ci vuole tempo, ma ci stiamo arrivando. C’è stata una riorganizzazione dei nostri uffici, anche a livello pratico, con l’adozione di software gestionali. E lo stesso percorso è stato esteso alle parrocchie, passando attraverso percorsi di formazione e affiancamento».
C’era scarsa attenzione alle risorse prima o ce n’è troppa adesso?
«La chiesa si sta rendendo conto che l’economia è il luogo teologico per eccellenza. Ho fatto esperienza in Africa e anche lì si litiga per le eredità. Attorno ai soldi ruotano anche la riconciliazione, la fede, la solidarietà. È un argomento più intimo del sesso, tanto è vero che tutti noi ne parliamo pochissimo, perfino con le persone più vicine. Succede anche nella chiesa. Madre Teresa di Calcutta diceva: la vita di fede è niente se non tocca il portafogli».
Ma nella pratica, questo cosa vuol dire?
«Oggi siamo consapevoli che sul piano della carità è meglio attivare progetti formativi che soddisfare un bisogno immediato. E sappiamo anche che conta moltissimo investire nell’educazione al risparmio. Tante delle cose che facciamo in Africa, nelle nostre missioni, sono possibili grazie alla gestione delle risorse che facciamo qui. Non dobbiamo aver paura dei soldi. Dobbiamo aver paura di usarli male o di non usarli per niente».
Però siete stati accusati, anche in un passato recente, di avere una gestione un po’ avventurosa, non troppo in linea con la missione della chiesa. Per esempio quell’investimento nelle energie rinnovabili fatto con Difim e con l’acquisizione di quote di Dedalo Esco. Cosa c’entra con la chiesa?
«Il settore era in grande espansione, il fine era nobile, trattandosi di energie rinnovabili, e noi avevamo pensato che le parrocchie avrebbero potuto ottenere condizioni migliori nell’acquisto dell’energia. Fare economia di scala, insomma. Non c’era niente di male in questo. Non era speculazione ma ricerca di un risparmio. Una gestione oculata. Poi le condizioni si sono rivelate presto meno vantaggiose del previsto, l’adesione delle parrocchie non era stata quella attesa e ci siamo ritirati».
Senza rinnegare l’operazione.
«Tutt’altro. Non c’è niente di male nel volersi mettere nelle condizioni di risparmiare o di avere vantaggi. È segno di attenzione e di rispetto per i soldi che si hanno. La diocesi ha tanti enti operativi, le attività sono numerose, in alcuni casi è necessario costituire società che abbiano obiettivi precisi e che operino in autonomia, con un loro organo di gestione. Questo aiuta a essere chiari e a fare le cose nel modo migliore. Dovremmo essere più attivi in questo senso».
Nell’opinione pubblica è radicata la convinzione che la chiesa abbia ancora forti privilegi. L’esenzione dall’Imu, per esempio.
«Ero in Africa e ricordo di aver pensato: se le cose stanno come leggo sui giornali, la chiesa deve pagare. Poi sono tornato e ho visto per esempio quanto pagavamo per le Cucine popolari, per un servizio ai poveri e non per un’attività di lucro. Il punto è che va promossa una cultura della legalità: si paga quello che è giusto pagare. L’attività istituzionale è esente, il resto no, come prevede la normativa. Se poi si scopre che nella chiesa qualcuno fa passare per attività istituzionale ciò che è in realtà commerciale, allora la cosa va segnalata e nel caso sanzionata».
Cristiano Cadoni
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