«Noi professori che andiamo in classe tutti i giorni per ricordare che la scuola è viva e aperta»

Fabio Coppo racconta l’esperienza di un gruppo di insegnanti del Nievo di Padova: «C’è della poesia nel presidio dell’istituzione» 
Fabio Coppo, insegnante di educazione fisica da solo in classe
Fabio Coppo, insegnante di educazione fisica da solo in classe

PADOVA. Tutte le mattine si vestono, escono di casa e vanno in classe. Semplicemente per dare un messaggio ai ragazzi: la scuola è viva, è aperta ed è qui che vi aspetta.

Sebbene con la chiusura degli istituti superiori fosse venuto a cadere l’obbligo per gli insegnanti di garantire la presenza in classe, introducendo anche per loro la possibilità di fare lezione da casa, un gruppo di loro al Nievo, ma anche in altri istituti, ha continuato a recarsi al lavoro, per tenere accesi i riflettori su una scuola ridotta sempre più a un problema di trasporto e contagi.

Si incrociano alla macchinetta del caffè, un cenno in corridoio, con la consapevolezza di condividere un unico obiettivo: «C’è della poesia in quello che vedo tutti i giorni in un gruppo di colleghi stoici che si reca al lavoro quando potrebbe stare a casa e fare ugualmente bene il proprio lavoro» racconta Fabio Coppo, insegnante di educazione fisica del liceo scientifico Nievo «in questa presenza costante, c’è senso del dovere, c’è il fatto di credere nell’istituzione e la scelta precisa di presidiarla in tempi difficili».

Da quando il Covid ha costretto gli studenti delle superiori alla didattica a distanza, quindi, tutte le mattine una ventina di insegnanti del Nievo, poco meno di un quarto del totale, si reca nella classe che si è scelto, indicata su una lavagna, accende il computer e comincia a fare lezione: «Senza la pandemia ci avremmo messo 50 anni a fare questo salto sul fronte dell’innovazione, ma la Dad è un altro modo di fare scuola, ed è difficile per tutti, per noi che siamo qui con le aule vuote di fronte e per gli studenti costretti a stare tutta la mattina al computer e poi tornarci di pomeriggio per studiare» prosegue «con le scuole chiuse e le società sportive sostanzialmente bloccate, hanno tolto ai ragazzi la possibilità di muoversi».

Coppo del resto è, a un tempo, l’emblema di quanto si sia snaturata la didattica una volta uscita dalla scuola e di quanto sia cambiata la quotidianità degli studenti: «Non potendo permettere che i ragazzi si facessero male in casa saltando o muovendosi, hanno tolto loro la possibilità di fare attività motoria» prosegue l’insegnante «quindi a me non resta che concentrarmi sulla teoria. Ad esempio, in questo periodo sto puntando su docufilm motivazionali, in cui i ragazzi possano riflettere sul fatto che, malgrado i momenti difficili si trova sempre un modo per uscirne. Dopodiché parliamo di alimentazione e tattica sportiva, ma la speranza è sempre quella di poter tornare presto a vedersi, magari in palestra. Le scuole sono sempre state un luogo sicuro, qui si respirava quasi un clima di terrore: non si scappava al controllo dei bidelli» scherza «abbiamo avuto una manciata di casi su mille studenti, tutti contagiati fuori. Il problema era quello che succedeva quando uscivano da scuola e si lasciavano andare all’irresponsabilità della loro età. Non è un momento facile per nessuno, ma il loro disagio non va sottovalutato: di mattina quando accendo il computer e mi ritrovo 25 paia di occhi che mi guardano, vedo certe faccine tristi...».

Anche per questo Coppo e tanti altri insegnanti continuano a presentarsi in classe: «È una mano tesa ai ragazzi che si sono messi sui marciapiedi e sotto i portici a studiare per ribadire il loro diritto, la loro volontà si stare in classe» conclude l’insegnante a nome dei colleghi «noi vogliamo lanciare un messaggio, un po’ romantico se si vuole, e far sapere loro che siamo qui e non vediamo l’ora di ritrovarli in classe». —


 

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