«Noi sudtirolesi mai stati italiani»

Lilli Gruber al Bo racconta l’epopea della sua famiglia
Di Barbara Codogno

PADOVA. Lilli Gruber presenterà il suo nuovissimo “Eredità”edito da Rizzoli quest’oggi a Padova alle 17.30 in Aula Magna, a Palazzo del Bo. L'incontro con la celebre giornalista televisiva, a ingresso libero fino a esaurimento posti, organizzato dall'Associazione Culturale Cuore di Carta con il Comune e l'Università degli Studi di Padova, sarà condotto da Andrea Molesini. Un libro particolare questo, perché, a differenza del solito, Lilli Gruber parla di se stessa, o meglio, della sua bisnonna: è il novembre del 1918, e il mondo di Rosa Tiefenthaler è andato in frantumi. L’ Impero austroungarico in cui è nata e vissuta non esiste più: la sua terra, il Sudtirolo, è passata all’Italia. Cominciano le persecuzioni; lei e la sua famiglia, colpevoli di voler difendere la loro lingua e la loro identità, saranno arrestati, incarcerati, mandati al confino.

Ritrovare il diario della sua bisnonna deve essere stata una grande emozione: com'è cambiata l'immagine di questa donna grazie alla lettura delle pagine del diario? «L’idea di scrivere “Eredità” mi è venuta quando mia madre ha scoperto per caso il diario della mia bisnonna, Rosa Tiefenthaler. Non ho avuto la fortuna di conoscerla, ma dalle sue pagine prende vita il ritratto di una donna speciale e molto moderna per i suoi tempi, se pensiamo che tenne il suo diario per trentotto anni in un periodo in cui le donne raramente scrivevano. Rosa si occupava dei suoi sei figli ed era al tempo stesso una grande proprietaria terriera, che gestiva la terra e la produzione dei suoi vini. Aveva scelto di sposare l’uomo che amava, inizialmente contro la volontà di suo padre: il matrimonio con Jakob è stata una grande storia d’amore».

Leggendo il diario le si è aperto un mondo non solo privato, quello di un pezzo di storia che va dall'impero al fascismo e che lei ha voluto testimoniare e approfondire.

«Eredità non è solo un romanzo, perché la saga della mia famiglia si intreccia con la storia del Sudtirolo e dell’Europa del Novecento: dal crollo dell’Impero austroungarico all’arrivo degli italiani, dal fascismo alla Germania nazista. È un capitolo che la storia deve ancora indagare a fondo: da giornalista mi è sembrato che valesse la pena raccontarlo». Il titolo è molto suggestivo e apre scenari di riflessione: Eredità. La sua, perché ha ereditato il diario, ma anche forse un'eredità storica, un'eredità scomoda? «Scrivendo questo libro ho scoperto molte cose che non sapevo sulla mia famiglia. La più difficile da digerire è stata sicuramente la fascinazione della mia prozia Hella - la più piccola delle figlie della mia bisnonna Rosa – per Adolf Hitler. Non era un’eccezione. Per lei come per molti sudtirolesi il Führer rappresentava la speranza di riscatto dal giogo fascista: con lui sarebbero potuti tornare a parlare il tedesco e non sarebbero più stati perseguitati. Nel libro riporto per intero una lettera in cui Hella scrive a sua sorella Gusti dopo aver partecipato al congresso del partito nazionalsocialista a Norimberga, nel 1936: è un documento storico inedito e preziosissimo».

Nella scrittura di “Eredità” la biografia approda al romanzesco oppure resta ancorata all'analisi e alla riflessione storica e politica che riconosciamo alla Lilli Gruber giornalista? «”Eredità” è sicuramente un libro molto diverso da tutti i miei precedenti, perché tocca nel profondo le mie radici, la mia identità, i miei affetti. Fin dall’inizio mi ha coinvolto moltissimo, più di quanto prevedessi e ho capito che l’unico modo per affrontare questa storia era creare fra me e gli eventi il distacco della narrazione».

Come vorrebbe fosse letto questo suo libro?

«Vorrei che fosse letto senza pregiudizi. Non pretendo di dare risposte ma perlomeno spiegare perché i sudtirolesi non sono mai stati italiani. La mia bisnonna, che era nata austriaca e lo è rimasta fino all’età di quarantatré anni, quando la sua terra “cambia proprietario” scrive: il mio cuore e la mia mente rimarranno tedeschi in eterno». E lei che eredità sente di aver ricevuto e che eredità si augura di poter trasmettere: professionalmente, umanamente, civilmente? «Professionalmente ho capito da chi ho ereditato la passione per la scrittura. Umanamente ho compreso che le decisioni più controverse e sconcertanti vanno capite, anche se non giustificate. Civilmente ho capito che la tanto criticata Europa resta il faro per continuare a garantire al nostro continente la pace e la pacifica convivenza. In fondo le terribili macerie della Seconda Guerra Mondiale non sono così lontane».

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