«Numero Primo è mio figlio» Il nuovo Album di Paolini

MOGLIANO VENETO. Riprendere il filo di una narrazione autobiografica, partendo dalla condivisione con il pubblico di un’esperienza unica: diventare genitore. Marco Paolini è diventato padre per la prima volta. Nell’aprile scorso è nato Giacomo. E nel suo nuovo lavoro teatrale non a caso è il racconto di una paternità, pur sui generis e distolta dal naturale contesto riproduttivo, la prima pagina con cui si apre l’Album che il pubblico del Teatro Busan di Mogliano (tutto esaurito) sfoglierà insieme con l’attore venerdì sera in apertura della prima stagione di prosa moglianese. Paolini non si presenta con un lavoro compiuto, definito, formato.
“Numero Primo. Studio per un nuovo Album” è proposto come un “work in progress” di quello che sarà il suo prossimo spettacolo da presentare nei teatri nel 2016. Lo sta scrivendo insieme a Gianfranco Bettin. Si sono fatti guidare dalla realtà in cui scienza, tecnologia e potere si intrecciano con il senso della vita, della coscienza, della biologia e della riproduzione. La generazione raccontata, stavolta, non è quella di “Tiri in porta” o “Miserabili”, ma l’attuale «alle prese con una pervasiva rivoluzione tecnologica». Seguendo l’evoluzione di una paternità raggiunta «con atto notarile, senza nessun atto sessuale», per scelta di una madre morente che cerca nel web un uomo a cui affidare il proprio bambino («Diventerò padre di un figlio non mio, che non ho mai visto, di quattro-cinque anni, nella rete mi ha cercato lei perché le piaceva il mio nome, Ettore») si entra nella terra di “Balocki” (paese dei balocchi con giocattoli improbabili e fantastici), la terra di mezzo spazzata dai tornado, l’hinterland, il valico di Mestre, l’ospedale dell’Angelo, la tangenziale tubo digerente, via Piave in cui risuonano solo voci straniere, cinesi, afghani, siriani in transito, i rifugiati davanti alla stazione. Poi il ghiaccio di Marghera, la neve delle sue ciminiere che si solidifica. Neve del Petrolchimico che non si scioglie. Dentro questo paesaggiopuzzle, «in cui piove come Blade Runner by Gardaland», si muovono Ettore e il figlio-non figlio Numero Primo. Immagini su immagini dell’Album si susseguono, a volte senza un legame apparente nello sfoglio.«Cosa c’è di mezzo tra una scena e l’altra io non so... a volte vengono così» spiega l’attore a chi ha potuto assistere a una prova. Non è un semplice monologo, non è puro teatro di parola. Se ci si estrania per pochi attimi dalla narrazione, ci si ritrova catapultati immediatemente in un’altra situazione perché il racconto di Paolini si fa man mano incalzante e si affolla di nomi, luoghi, scene. Il passaggio tra presente tecnologico e memoria che riaffiora è continuo nel procedere di Ettore e Numero Primo. Dalla terra di Balocki, Marco Paolini salta ancora più a nordest. A Trieste innesta una scena in una scuola invasa dai pidocchi e parte una sequenza, la più esilarante, sulla lotta “manuale”, e non tecnologica, all’invasione degli ultracorpi.
Il finale è tutto aperto. Anzi non è una fine, dice l’attore. Il “work in progress” del Teatro Busan crescerà davanti agli occhi del pubblico e sembrerà evidente che tutti i riferimenti non sono puramente casuali. «Parlerò di biologia e di altri linguaggi, ma lo farò seguendo il filo di una storia più lunga che forse racconterò a puntate, come ho fatto con i primi Album. Di più, per ora, non so».
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